mercoledì 10 maggio 2017

Vince Macron, nuova figurina nell'album globalista


E così, dall'altro ieri la Francia ha deciso di non decidere.

Con un risultato che non lascia spazio a dubbi, Emmanuel Macron è diventato il nuovo presidente della Repubblica francese, l'uomo che nel prossimo quinquennio guiderà il paese transalpino lungo... lo stesso binario su cui era già stato costretto dai suoi predecessori.

Con questo successo, l'Ancien Régime 2.0 mette a segno un punto pesante nella reazione alle débacle subite nel 2016, e puntella ancora per qualche tempo la sua creatura più ambiziosa, l'Unione Europea. Superato l'ultimo ostacolo delle elezioni parlamentari di giugno, l'élite avrà a disposizione cinque anni per proseguire anche in Francia il lavoro di smantellamento dei diritti fondamentali - a partire da quelli del lavoro - già in atto in tutta Europa e ironicamente chiamato "riforme strutturali".

Scorrendo il programma economico dell'ex associato Rothschild & Cie si ritrovano tutti i dogmi del neoliberismo unionista: dall'ottuso inseguimento del mitologico 3% nel rapporto deficit/PIL all'abbattimento della spesa pubblica (annunciato per 60 miliardi tra tagli alla sanità e raffiche di licenziamenti negli enti locali), dalla precarizzazione flessibilità del lavoro da ottenere perfezionando la tanto amata Loi Travail alle immancabili chiacchiere sul cuneo fiscale.

E' dai tempi di Tony Blair che queste ricette rimbalzano per tutto il continente, ripetute sempre identiche di volta in volta da facce diverse, come una pessima poesia di Natale. Ed è da allora che puntualmente falliscono, trascinando nel fango il politico di turno che per scelta o imposizione le aveva fatte proprie. Salvo tornare poco dopo in bocca al "volto nuovo" del momento. L'immagine di copertina di questo articolo comprende solo alcuni tra i personaggi che, in un modo o nell'altro, sono stati parte di questo meccanismo. L'ostinato ossequio delle Tavole della Legge liberista ha portato in venti anni alla distruzione delle maggiori famiglie politiche europee, quella popolare e quella socialista, punite dagli elettori per essersi tramutate in due facce della stessa (indigesta) moneta.

Dopo aver cooptato alla propria agenda popolari e socialisti causando l'estinzione di entrambi, con Macron l'establishment diventa autosufficiente e impara a produrre da sé figure in grado di raccogliere un grande consenso pur senza avere alle spalle nient'altro che marketing. En Marche!, il movimento del neopresidente, è nato solo 13 mesi fa con connotazioni volutamente ambigue (“no partisan” è stato uno dei suoi primi slogan) e una struttura talmente leggera che al confronto i club di Forza Italia del '94 sembrano il PCUS.
Lo stesso Macron ha un concetto molto particolare del processo democratico, avendo dichiarato nel settembre 2015 che passare per le elezioni è "un cursus d'un ancien temps" (un processo che appartiene a tempi antichi).

In realtà un tentativo simile era già stato fatto proprio da noi con Monti, ma in quel caso si era sbagliato l'ordine degli eventi, portando "l'uomo nuovo" prima al governo e poi a fondare il "partito nuovo". Al momento delle elezioni i cittadini avevano già assaggiato troppa della cura neoliberista, e l'entusiasmo per la novità aveva lasciato il posto all'insofferenza. Nel caso francese l'errore è stato corretto: Macron è uscito dal governo con il giusto anticipo perché il suo ricordo affievolisse, poi ha fondato il "partito nuovo" e solo alla fine è tornato al governo come "uomo nuovo". Quando arriverà il rigetto popolare sarà troppo tardi: a meno di un imprevedibile terremoto politico, la Francia è stabilizzata fino al 2022.

Cosa ci aspetta dunque per i prossimi anni?

Intanto è scontato un ulteriore rafforzamento della leadership tedesca sul continente: Macron non fa mistero di voler rinsaldare il blocco franco-tedesco, ma dimentica che in ogni associazione tra un creditore e un debitore, il primo detta le regole ed il secondo non può far altro che obbedire.

Il processo di costruzione unionista quindi dovrebbe continuare esattamente come previsto a Berlino, puntando sul deprivare velocemente e irrimediabilmente gli Stati Nazionali di più potere possibile (personalmente sono più che preoccupato dalle voci insistenti di una "difesa" e di una "intelligence comune", essendo il monopolio della violenza uno dei poteri essenziali di ogni Stato), senza effettuare l'unico passo che davvero potrebbe iniziare un ipotetico percorso di unione continentale: la condivisione dei debiti pubblici. Ogni estorsione di sovranità verrà effettuata scavalcando il volere popolare e ricorrendo alla formula del trattato.

La questione Brexit verrà, molto probabilmente, affrontata nell'ottica della vendetta cercando di far pagare ai britannici il prezzo più salato possibile, come monito agli altri popoli che carezzassero l'idea di uscire dalla gabbia. La ben nota intransigenza tedesca, rinvigorita dallo scudiero francese, spingerà ancora di più il Regno Unito verso lo storico alleato d'oltreoceano.

In campo internazionale è prevedibile una nuova fiammata anti-Assad, con altre accuse e nuovi casus belli volti a completare il rovesciamento del governo alawita e la destabilizzazione siriana. Con buona pace della Russia, che non uscirà ancora a lungo dal mirino degli esportatori di democrazia.

Per i ceti medio bassi francesi, invece, si apre un quinquennio di lacrime e sangue, al termine del quale mantenere le forze sovraniste al solo 33,90% della Le Pen sarà già un miracolo.

Ma per allora sarà già stato confezionato un altro "uomo nuovo", pronto a guidare con il suo "partito nuovo" il paese verso la luminosa strada del futuro sconfiggendo i vili "agitatori di paure" che vogliono "tornare del passato"...

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