mercoledì 15 novembre 2017

Ennesima lettera di richiamo all'Italia: "pizzino" Ue per il governo che verrà?


Tra una manciata di mesi, si sa, gli italiani saranno chiamati al voto per il rinnovo delle Camere. E le probabilità che dalle urne scaturisca una maggioranza meno supina delle ultime rispetto ai diktat dell'Unione Europea, stando ai risultati delle votazioni dallo scorso dicembre in poi, non sono trascurabili.

La ridotta unionista nostrana sta facendo di tutto per cercare di arginare la sconfitta, soprattutto con una incessante campagna mediatica che ripete all'infinito il consolidamento di una presunta "ripresa" che, pur presente in alcuni limitati dati statistici, è impalpabile nel paese reale. Il poco di allentamento di briglie che ci è stato concesso dopo le iniezioni venefiche del governo tecnico - sprecato in sterili bonus - sta per giungere a termine, e Bruxelles non sembra disposta a transigere ulteriormente sul programma di distruzione del modello economico e sociale che ha in serbo per la nostra nazione.

Occorre "fare le riforme", tutte le riforme, senza obiezioni o tentennamenti, a prescindere dalla volontà degli elettori e dal colore del nuovo esecutivo. Potrebbe essere questo il motivo per cui ieri è trapelata la notizia dell'invio da parte della Commissione Ue di una lettera di richiesta di chiarimenti riguardanti il bilancio per il 2018. La lettera, che dovrebbe arrivare il prossimo 22 novembre, chiederà impegni precisi riguardo la riduzione del deficit, ma il giudizio definitivo sarà emanato solo nel maggio 2018, quando a Palazzo Chigi dovrebbe essersi già insediato il nuovo esecutivo.

Se fino a qualche tempo fa l'atteggiamento degli eurocrati sembrava più conciliante, con concessioni di flessibilità al fine di scongiurare l'avanzata dei "populisti", ora la musica è cambiata: le dichiarazioni del vicepresidente della Commissione Jyrki Katainen sul reale stato della situazione italiana non lasciano presagire niente di buono.

L'ex premier finlandese parla a nuora perché suocera intenda: il vero bersaglio non sembra tanto questo esecutivo - spudoratamente filounionista - quanto il prossimo, che potrebbe trovarsi da subito davanti ad uno scomodo bivio: effettuare una manovra aggiuntiva (nuove tasse e nuovi tagli, quindi ulteriore contrazione del Pil) per accontentare Bruxelles o incorrere nella probabile procedura di infrazione.

Le nuove richieste di Bruxelles, assieme alla pesante eredità delle clausole di salvaguardia da disinnescare (12,5 miliardi per bloccare l'aumento Iva e accise nel 2019) ed alla prossima probabilissima crisi bancaria provocata dalle nuove regole Bce sugli Npl, sono sufficienti a condizionare fin dal primo giorno l'indipendenza di qualsiasi futuro governo costringendolo su un binario obbligato. Quello di ieri è solo un avvertimento, un "pizzino" per ribadire che Roma non ha né avrà in futuro alcuna autonomia sulle proprie politiche economiche e fiscali.

C'è una sola linea da seguire, e viene decisa a Bruxelles.

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