venerdì 31 marzo 2017

Le fake news sulla guerra di Trump a Vespa e San Pellegrino


A leggere i giornali di questi ultimi due giorni, uno sarebbe portato a pensare che Trump sia impazzito di punto in bianco. Il tycoon eletto Presidente USA sarebbe sul punto di imporre pesanti dazi doganali a numerosi prodotti europei, tra cui l'italiana Vespa Piaggio e la non più tanto italiana (appartiene alla svizzera Nestlé) San Pellegrino.

Secondo molti "giornalisti" i dazi sarebbero una ritorsione contro il rifiuto della Ue di importare carni americane trattate con ormoni.

Lo scenario che emerge da questa narrazione è da cartone animato: da un lato la buona Unione Europea, attenta alla salute dei suoi cittadini, dall'altro il malvagio Trump che vuole imporci carne taroccata.

Peccato che in tutto ciò l'unica cosa sicuramente taroccata sia la notizia stessa.

Facciamo un po' di ordine: intanto bisogna precisare che la fonte della notizia è il Wall Street Journal, che sta a Trump all'incirca come Il Manifesto sta a Salvini. Non esattamente una garanzia di imparzialità, insomma.

Poi c'è da dire che la questione della carne americana non nasce con Trump, ma risalirebbe addirittura al 1998, quando il divieto europeo di importare carni trattate con ormoni giunse al Wto, che diede ragione agli Usa e torto alla Ue. Nel 2009 (amministrazione Bush) le parti trovarono un accordo: il bando sulle carni trattate sarebbe rimasto, ma la Ue per compensare si sarebbe impegnata ad importare una certa quantità di carne statunitense NON TRATTATA con ormoni. Impegno che non venne mai onorato da parte dell'Unione.

Lo stesso Barack Obama, che secondo la vulgata mainstream fa parte dei buoni e degli amici dell'Unione Europea, nel DICEMBRE 2016 mobilitò l'USTR (Office of the United States Trade Representative) per denunciare la Ue per pratiche commerciali scorrette in questo settore, come è facilmente verificabile sul sito dell'USTR.

Non solo, ma la dichiarazione stampa dell'USTR descrive anche le conseguenze previste in caso la Ue non accettasse di riprendere le importazioni di carne non trattata: l'amministrazione Obama era pronto ad imporre dazi doganali sostenuti su una lista di prodotti europei importati negli Stati Uniti (Nel testo originale: "If the trade action resumes, the United States would reinstate industry-supported tariffs on a list of EU products imported into the United States").

Oibò! Ma allora il perfido Trump sta solo facendo le stesse cose che avrebbe fatto il simpatico Obama! Curiosa a volte la politica...

Se volessimo uscire per un attimo dal giochino dei buoni e dei cattivi, non sarebbe difficile capire qual è il problema di fondo che sta minando i rapporti tra Usa e Ue già dai tempi di Obama: questo.

La bilancia commerciale Usa è pesantemente squilibrata verso la Ue, ovvero gli americani comprano molti più prodotti europei di quanti ne vendano in Europa, e questo crea debito. Un debito che sta crescendo costantemente da almeno 7 anni (nel 2015 a fronte di acquisti per $490,6 mld gli Usa hanno venduto solo per $ 320,5 mld, Fonte Ministero degli Esteri), e che si può fermare solo in tre modi: abbassando i salari Usa per impedire che i cittadini americani comprino prodotti stranieri, svalutando la propria moneta per rendere più cari i prodotti esteri, oppure imponendo dazi doganali alle merci europee. E quest'ultima è esattamente la strada che Trump sembra voler percorrere.

venerdì 24 marzo 2017

25 marzo, il triste anniversario dei Trattati di Roma


Domani Roma assisterà alla cerimonia per i 60 anni dei trattati costitutivi la Comunità Economica Europea, prima incarnazione dell'attuale Unione Europea. Quel lunedì di 60 anni fa i ministri degli esteri di Italia, Germania, Francia, Olanda, Lussemburgo e Belgio firmarono il nucleo centrale di impegni attorno a cui si sviluppò prima la Cee, poi la Ue.

Si trattava di nazioni uscite a pezzi dalla guerra, la cui influenza a livello mondiale era appena tracollata a vantaggio delle nuove superpotenze nucleari; nazioni spaventate dalla minaccia sovietica che premeva sui confini orientali e nel caso tedesco occupava direttamente mezzo stato, compresa parte della capitale Berlino.

In quel contesto, e con la benedizione americana, presero forza tra le élite delle principali nazioni europee alcune teorie sviluppatesi negli anni precedenti, come il progetto Paneuropa del conte Kalergi, il pensiero di Jean Monnet ed il Manifesto di Ventotene di Spinelli e Rossi. Si trattava di teorie che individuavano nel nazionalismo la causa prima dei conflitti che avevano dilaniato il continente e proponevano l'istituzione di un organismo sovranazionale che imponesse politiche comuni riducendo progressivamente la sovranità degli stati nazionali, per culminare in qualcosa di simile agli Usa. Alla base di tutte queste teorie, in misura più o meno evidente, c'era la necessità di ignorare o coercere la volontà popolare, vista come un intralcio rispetto al "sogno europeo".

A 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma, a 24 dalla costituzione dell'Unione Europea ed a 18 dall'introduzione dell'euro, ci si prepara ad una celebrazione che ha poco della festa e molto dell'epitaffio. I sostenitori dell'Unione non hanno argomenti seri da portare a sostegno delle loro posizioni, e sono costretti a spacciare per successi robe che con la Ue non hanno niente a che fare (come i famosi 60 anni di pace) o fenomeni completamente marginali come l'Erasmus, che interessa circa 100.000 studenti all'anno su oltre 16 milioni. Anche i più convinti unionisti ormai sono costretti a parlare di "revisione dei trattati" e "rinnovamento del progetto Ue", ammettendo indirettametne il fallimento di quello in essere.

Sul piano economico l'area euro è un disastro non solo rispetto alle nazioni con cui pretenderebbe di competere, ma anche ai paesi Ue che non hanno adottato la moneta unica; il tasso di disoccupazione è quasi al doppio sia degli Usa che di paesi considerati meno sviluppati come la Russia e la moneta unica ha fallito anche nel compito in cui si diceva sarebbe stata più forte: proteggerci dalla svalutazione.

Sul piano politico, parallelamente all'ampliamento dell'Unione, si è fatta sempre più evidente la sostanziale incompatibilità degli interessi nazionali degli stati membri. I casi della guerra contro Gheddafi, delle sanzioni alla Russia e dell'atteggiamento nei confronti dell'immigrazione sono esempi evidenti di come gli interessi di una parte dell'Unione danneggino direttamente quelli delle altre. Tanta è la distanza tra i membri dell'Unione che persino la dichiarazione ufficiale di domani sarà fortemente annacquata rispetto alle intenzioni iniziali, e si ridurrà ad un generico elenco d'intenti e belle speranze.

Perfino sul piano culturale l'Unione è assente ingiustificata, essendo stata incapace di produrre alcunché di apprezzabile se non la pigra adozione dei precetti del politicamente corretto originati oltreoceano. Per citare una recentissima intervista a Michel Houellebecq, "Oggi c’è molta meno cultura europea di quanta ce ne fosse un tempo. [...] A fine Settecento I dolori del giovane Werther elettrizzavano l’Europa intera. [Oggi] Esiste una cultura locale legata al singolo Paese e una cultura globale anglosassone".

Ma il danno più grande l'Unione lo sta provocando proprio al concetto di Europa con cui si è arbitrariamente identificata. Il tentativo di calare forzatamente in una stessa gabbia di regole e vincoli popoli senz'altro apparentati, ma comunque diversi per lingua, storia, cultura, leggi, economia, abitudini, tradizioni e religioni sta provocando rancori incrociati molto pericolosi: basta leggere le sconcertanti dichiarazioni del presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem (non il primo che passa, insomma) per capire quanto poco i popoli del nord si fidino di quelli del sud (amabilmente definiti "porci" qualche tempo fa), mentre tra i popoli del sud monta l'insofferenza per le rigidità insostenibili imposte dal nord. Stesso discorso si può fare tra est (il famigerato gruppo Visegrád) e ovest.

Alla luce di tutto ciò, il miglior augurio che si possa fare domani ai popoli europei è quello di lasciarsi alle spalle quanto prima questa pagina sbagliata della loro storia, per indirizzarsi su una autentica collaborazione tra stati nazionali sovrani e liberi di perseguire il proprio benessere nel rispetto della storia, delle abitudini, delle economie e delle volontà di ciascuno.

giovedì 16 marzo 2017

Elezioni in Olanda: la vittoria di PirRutte


Eccoli là.

Hanno iniziato praticamente ad urne ancora aperte, e c'è da star certi che continueranno ancora per giorni. D'altra parte dopo un grande spavento scatta un bisogno quasi fisico di festeggiare, esorcizzare il rischio scampato.

Così oggi tutto l'establishment unionista, il triste teatrino bianco-rosa che da due decenni si dà il cambio al potere per applicare all'unisono lo stesso programma antipopolare, si è sentito in dovere di manifestare la propria gioia per la sconfitta alle elezioni olandesi del terribile babau populista-nazionalista-xenofobo locale: Geert Wilders.

Eccoli qua, i nostri eroi che celebrano la vittoria delle forze del bene:
Toni da grande successo, accento calcato sulla sconfitta dell'estremismo, sulla responsabilità, sulla nuova Europa da fare (sempre in un futuro imprecisato) più aperta e libera.

C'è solo un piccolo, insignificante problema:

Geert Wilders le elezioni non le ha perse, e Mark Rutte non le ha vinte.

Rispetto alle scorse elezioni, e nonostante la solita campagna di demonizzazione mediatica che viene ripetuta sempre uguale contro ogni forza "populista", il PVV di Wilders GUADAGNA 4 o 5 seggi, mentre il VVD dell'eroico Rutte ne PERDE circa 10. Per non parlare dei suoi compagni di merende laburisti, che vengono disintegrati e passano da 38 a 9 seggi: una tendenza che si ripete identica in quasi tutta Europa, e certifica l'ingloriosa ma meritatissima fine della famiglia socialista/laburista, colpevole di aver tradito quei lavoratori che diceva di rappresentare per fare da scendiletto al peggior capitalismo.



Considerando che in Olanda vige un sistema proporzionale puro, il nostro Rutte, finito di festeggiare il suo schiacciante trionfo, dovrà armarsi di pallottoliere per cercare di mettere insieme una coalizione composta da almeno 5 partiti, ed immagino come sarà facile l'azione di governo con così tanti interessi elettorali diversi in ballo. La situazione è talmente complicata che "De Volkskrant" ha pubblicato un gioco di simulazione di maggioranza in stile puzzle.

Ma anche ammesso che il nostro riesca, quale politica intende adottare? Se continuerà nella linea dura scopiazzando le posizioni di Wilders, come fatto nell'ultima fase della campagna elettorale, i populisti avranno vinto perché vedranno riconosciute le loro istanze. Se tornerà ad una politica eurottusa, immigrazionista ed "istituzionale", il partito di Wilders potrà gonfiare le vele di elettori delusi e potrà prendersi la rivincita già tra due anni, nelle elezioni per il senato.

Al di là delle tonnellate di sciocchezze che ci diranno oggi e nei prossimi giorni, il risultato olandese non sposta di una virgola la situazione: la Ue è una costruzione nata sulla testa dei popoli europei e contro il loro legittimo diritto a governarsi autonomamente e vivere ciascuno secondo i propri usi e tradizioni.
Non è il primo caso di questo tipo nella storia e probabilmente non sarà l'ultimo, ma non potrà che condividere il destino di tutti i casi precedenti: fallire.