martedì 28 giugno 2016

Brexit: davvero hanno vinto i vecchi contro i giovani?

 

Non perderò tempo sul risultato del referendum di giovedì: il miracolo in cui io e tanti europei speravamo è accaduto ed il Regno Unito ha assestato un duro colpo al castello unionista. Ciò non vuol dire che da venerdì la Gran Bretagna sia diventata il Bengodi, ma quantomeno si avvia a tornare in pieno possesso della propria sovranità, come la stragrande maggioranza degli stati del mondo, esclusi i 27 sfigati che hanno deciso di credere ai sogni piuttosto che alla realtà.

Ciò che vorrei sottolineare è un aspetto della propaganda unionista che si è imposto già nei primi minuti successivi al risultato: dipingere la Brexit come la vittoria di anziani e ignoranti contro giovani e colti. Pur nelle varie sfumature dovute alle linee editoriali di turno, l'idea che a votare Leave siano stati solo vecchi e analfabeti è stata e viene ancora ripetuta in modo ossessivo, e nessuno si è sentito in dovere di approfondire questa informazione che viene accettata come un dogma di fede.

E invece da approfondire ci sarebbe, e non poco:

1- Se l'ipotesi è vera
Se ciò che ci viene infilato a forza nella testa è vero, e gli over 65 britannici hanno votato in massa per uscire dalla Ue, bisognerebbe tener presente che si tratta delle stesse persone che nel 1975 votarono in grande maggioranza (67%) per stare all'interno della CEE (il nome della Ue quando ancora aveva un senso). Persone che avevano dato fiducia al progetto "europeo", non detrattori a priori. Si tratta dell'unica fascia sociale che ha avuto esperienza diretta sia del Regno Unito indipendente che di quello vincolato alla Ue, ed evidentemente ha ritenuto migliore il primo. In questo senso il voto di giovedì significa un tentativo di correggere l'errore commesso nel 75 proprio per dare un futuro ai più giovani, altro che voto egoista e scontro generazionale.
Poi ci sono gli "ignoranti". E' ragionevole pensare che si tratti di persone che svolgono lavori meno remunerativi e ricevono paghe minori: i più deboli. E per una istituzione come la Ue, che propaganda di voler portare benessere e pace sociale, avere contro le stesse persone che dice di voler proteggere è più che un fallimento: una mezza catastrofe.

2- Perchè l'ipotesi non è vera
L'ultima volta che sono andato a votare sulla mia scheda non c'era il mio nome, né ho dovuto dichiarare il mio titolo di studio agli scrutatori, e ragionevolmente sono portato a credere che anche in Gb funzioni così. Questo per dire che nel referendum sulla Brexit, come in ogni altra votazione, il voto è anonimo e segreto. Ma allora come si fa a stabilire per chi hanno votato i giovani o i laureati o le massaie? Tramite statistiche e sondaggi. Si fa un certo numero di telefonate (o questionari online) in cui si chiede età, lavoro, titolo di studio e dichiarazione di voto ad un campione limitato di persone e si proietta questo dato a livello nazionale. Piccolo problema: i sondaggi non sono la realtà e possono sbagliare, anche di grosso.

Nel caso specifico il sondaggio in cui risulta che gli anziani hanno votato Leave mentre i giovani Remain è stato effettuato dalla società YouGov, una società di ricerche di mercato privata quotata in Borsa, i cui vertici sono vicini al partito Tory di David Cameron. La stessa che a ridosso del voto dava la vittoria ai Remain per 52 a 48. Non potrebbe aver sbagliato anche su questo? Secondo i media unionisti, no.

Questo è il sondaggio pubblicato da YouGov:


In basso a sinistra, in piccolo, c'è il campione statistico utilizzato per effettuare la statistica: 1652 persone. Sulla base delle risposte di 1652 persone a un questionario online da giorni in tutta Europa si parla di vecchi inglesi che hanno azzoppato i giovani.

3- E gli astenuti?
Diamo per buono anche il sondaggio YouGov, fingiamo che l'opinione di 1652 persone sia davvero rappresentativa del voto dei britannici e che YouGov abbia azzeccato la proiezione divisa per età pur avendo sbagliato quella sul risultato finale. Rimane sempre il fatto che il sondaggio in questione prende solo in considerazione chi è andato a votare, ma non indaga sulla composizione demografica di chi non è andato a votare. Stando ai dati di Eurobarometro, il Regno Unito è tra i paesi (ex)-Ue quello con il maggior tasso di astensionismo tra i giovani. Si parla di un 38% di votanti tra i 18 ed i 30 anni contro il 56% del resto d'Europa.
Anche durante le ultime elezioni, nel 2015, l'astensionismo tra i giovani 18-24 è stato del 57% contro il 22% degli over 65 (fonte Ipsos MORI).
La stessa tendenza si è verificata anche nel referendum per la Brexit, come risulta da questo articolo sul Financial Times.

La percentuale di votanti in base a età e residenza. I giovani hanno disertato le urne molto più degli anziani, e nella "europeista" Glasgow l'astensione è stata altissima.

Prima di innescare una inutile guerra generazionale o scatenarsi in fantapetizioni per rifare il referendum, forse è il caso che i Remainers delusi si domandino come mai non sono riusciti a portare alle urne un numero sufficiente di elettori, e perché una larghissima fetta di giovani abbia preferito disertare il voto.

lunedì 20 giugno 2016

Brexit: la ragione oltre le emozioni

Parlare di Brexit ora, a tre giorni dal voto, dopo l'infame omicidio di Jo Cox, è qualcosa di molto simile a camminare sulla corda di un equilibrista: il percorso da mantenere per fare un ragionamento pacato è strettissimo, l'opinione pubblica preda di reazioni emotive e irrazionali, come dimostra il balzo nei sondaggi del fronte del Remain ed il contestuale tracollo del Leave a partire dal 16 giugno.

Eppure la posta in palio il 23 giugno è altissima sia per i britannici che avranno la possibilità di votare che per tutti gli altri popoli europei cui questa possibilità è negata. Decisioni così importanti andrebbero prese "a freddo", di sicuro cercando di separare la naturale compassione e la rabbia che si provano di fronte al brutale assassinio di un essere umano dalla valutazione distaccata dell'oggetto del voto, che con quella vicenda non ha nulla a che fare.  

Nonostante ci sia ormai bisogno di un miracolo, resto convinto che la scelta più saggia per il futuro della Gran Bretagna rimanga quella di uscire dall'Unione.

Non esiste alcun motivo valido per restare

Gli unionisti non possono vantare benefici economici per la permanenza nella Ue perchè non ce ne sono. La Ue non produce ricchezza, ha una disoccupazione media doppia rispetto alla Gb, ed ha un gran bisogno della Gb per piazzare i suoi prodotti, essendosi già giocata in parte la Russia con le insensate sanzioni. Il Regno Unito è la 5a economia mondiale, non è la Grecia e può vivere benissimo comprando merci da altri paesi. L'Unione già traballa ora, potrà resistere con un buco nelle esportazioni da un centinaio di miliardi di euro/anno?

Gli unionisti non possono minacciare un isolamento tecnologico o culturale della Gran Bretagna: nonostante a Bruxelles si respiri sempre più aria da Ancien Régime, il XVIII secolo è passato da un pezzo ed oggi è possibile mantenere tutti gli scambi di tecnologia e di cultura con il resto del mondo grazie all'irrisorio costo dei trasporti intercontinentali ed all'imponente quantità di mezzi di comunicazione di cui disponiamo.
E' la globalizzazione, bellezza.
Inoltre c'è una cosetta chiamata lingua inglese, che pare sia stata inventata proprio dall'altra parte della Manica, e che incidentalmente è la lingua non ufficiale di tutto il pianeta. Beh, incredibile a dirsi, ma i britannici parlano questa lingua come lingua madre. Così, di default.

Gli unionisti non possono minacciare l'isolamento militare della Gran Bretagna: questa fa parte della NATO ed è membro permanente dell'ONU, due organismi che non dipendono dai capricci di Bruxelles e che continueranno a funzionare nello stesso modo anche dopo l'uscita della Gb dalla Ue. La situazione internazionale costringerà l'Unione a mantenere solidi rapporti di collaborazione militare e di intelligence con Londra sia che questa rimanga nel suo perimetro, sia che torni indipendente.

L'unica cosa che possono promettere gli unionisti è il (loro) solito sogno europeo, ma anche questo, per dirla con Shakespeare, è "troppo dolce e troppo lusinghiero per essere fatto di sostanza reale".


mercoledì 15 giugno 2016

Brexit: i seminatori di paura




Tra poco più di una settimana i cittadini del Regno Unito saranno chiamati ad esprimersi sulla permanenza o meno nell'Unione Europea (il cosiddetto Brexit) e già da tempo, come scritto in precedenza, la battaglia si è fatta rovente. Vista la portata del referendum, già da mesi le maggiori personalità britanniche ed internazionali si sono espresse sul tema, con una fondamentale differenza tra i sostenitori del Leave e quelli del Remain: dove i primi hanno usato prevalentemente parole d'ordine legate al recupero di dignità, libertà ed autonomia decisionale, i secondi hanno cercato in tutti i modi di incutere paura negli elettori per spingerli a rimanere nel recinto unionista.

Le dichiarazioni del fronte Remain prospettano scenari inquietanti per il futuro del Regno, spaziando da crisi economiche, a svalutazioni tanto repentine quanto epocali, a marginalità politica fino al pericolo di una guerra.

In patria, il premier Cameron ha parlato di "salto nel buio", "pensioni a rischio", "austerità" (la stessa che conosce bene anche chi è dentro la Ue?) e addirittura "minaccia alla pace", mentre il suo pseudo-rivale laburista Corbyn ha recuperato dal sottoscala del partito la dimenticata classe operaia ed ha parlato di "rischio per i diritti dei lavoratori" (lo stesso che colpisce i lavoratori Ue con i vari Jobs Act?).
 
All'estero non va meglio: per il G7 la Brexit sarebbe uno shock per l'intera economia mondiale, il presidente Usa Obama con un'incredibile ingerenza negli affari di uno stato sovrano ha minacciato di tenere la Gb "in fondo alla fila" per le future trattative commerciali con gli Usa, la banca svizzera Ubs parla di svalutazione della sterlina fino alla parità con l'euro e calo del 2% del Pil, il ministro tedesco dell'economia Schauble, con la sua solita delicatezza, ha ventilato l'esclusione totale del Regno Unito dal mercato unico. La psicosi viene distillata al punto che per il Financial Times l'ipotesi Brexit ha provocato un aumento del prezzo del cioccolato! Il Fear Project lavora a pieno regime e molto più per chi vuole restare nella Ue che per chi vuole andarsene, riporta il Telegraph.

Evidentemente nervoso per uno scenario che potrebbe scombinare piani (e interessi economici) già definiti, l'establishment internazionale agita senza pudore spettri davanti al popolo inglese per spingerlo a votare non secondo ragione, ma sull'onda del terrore di future catastrofi. I leader mondiali, politici ed economici, non si fanno scrupoli a parlare alla pancia degli elettori.
Proprio ciò di cui rimproverano continuamente i cosiddetti populismi.

mercoledì 1 giugno 2016

L'etichetta d'origine per il latte e il surreale entusiasmo di Coldiretti


Oggi è il World Milk Day, ennesima ricorrenza farlocca creata ad arte (dalla Fao, in questo caso) per dare in pasto ai giornali qualcosa da scrivere e un contentino a qualche ong. Avrei volentierissimo ignorato questa "Giornata mondiale", non fosse che proprio ieri il nostro ineffabile premier, accompagnato dal ministro alle Politiche Agricole Martina, ha annunciato con la sua proverbiale modestia il raggiungimento dell'ennesima "tappa storica": un decreto che introduce l'obbligo di indicazione d'origine sulle etichette dei prodotti lattiero caseari italiani.

Grande festa tra i 5000 rappresentanti di Coldiretti radunati a Milano, e dichiarazioni entusiastiche da parte del presidente Roberto Moncalvo: "un risultato storico per allevatori e consumatori, che nella metà dei casi sono disposti a pagare il vero Made in Italy alimentare fino al 20% in più ma c’è addirittura un 12% che è pronto a spendere ancora di più pur di avere la garanzia dell’origine nazionale".

Quindi siamo davvero ad una svolta per un settore in enorme difficoltà?
No. E vediamo perché.

Intanto il meraviglioso decreto è stato firmato, ma ha bisogno del via libera da parte della Ue, che da brava istituzione turboliberista ha sempre ostacolato queste iniziative. "In più occasioni - scrive il Sole 24 Ore - proposte di indicare nell’etichetta dei prodotti finiti l’origine delle materie prime è stato visto dai tecnici di Bruxelles come lesivo della concorrenza e della libera circolazione delle merci". Il rischio di uno stop unionista c'è ed è concreto.

Coldiretti è convinta di poter vendere i prodotti lattiero caseari "d.o.c." ad un 20% in più rispetto alla media, ma non è chiaro quale sia il mercato di riferimento: non quello nazionale, in calo costante da anni (-220 milioni di litri nel periodo 2011-15) e impantanato in una situazione di stagnazione/deflazione per cui appare improbabile piazzare un prodotto di massa rincarato del 20% ed avere successo.

Rimane il mercato estero, dove il Made in Italy alimentare è forte al punto da aver creato il fenomeno dell'italian sounding. Proprio in questo senso sembra andare il gigante del latte Granarolo, la cui ricetta, enunciata dal presidente Gianpiero Calzolari, è "una politica di allineamento tra produzione e trasformazione con grande attenzione all'export". Ovvero una produzione limitata e di qualità garantita da vendere sui mercati esteri più importanti.
una propria politica di allineamento tra produzione e trasformazione con grande attenzione all’export - See more at: http://www.foodweb.it/2016/05/granarolo-sul-latte-serve-forte-politica-europea/#sthash.g10tcsC8.dpuf

E il mercato interno? sembra dato per perso, dovremo rassegnarci a mangiare prodotti di costo inferiore, adatti a tasche sempre più prosciugate ma realizzati con latte polacco, romeno, tedesco o addirittura cinese, mentre il nostro latte andrà a finire sulle tavole di tutto il mondo. Tranne che sulla nostra.
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