lunedì 24 novembre 2014

Elezioni regionali: ha ragione lui.



All'indomani delle elezioni per il rinnovo dei consigli regionali di Calabria ed Emilia-Romagna, travolti dalle solite vicende giudiziarie, più che il risultato (un prevedibilissimo cappotto 2-0 a favore del csx) sembra fare scalpore il dato dell'affluenza alle urne: 44,07% in Calabria, 37,67% in Emilia-Romagna. Oltre la metà dei cittadini calabresi ed emiliano-romagnoli ha deciso di disertare le urne, scatenando oggi una tempesta di analisi sui perché e sui percome di questa scelta.

Tra tutti i commenti, il più sensato sembra quello del Presidente del Consiglio: «Il fatto che non ci sia stata una grande affluenza è un elemento che deve preoccupare e far riflettere ma che è secondario perché checché se ne dica non tutti hanno perso» (fonte: Corriere.it).
Lasciando stare le solite lacrime di coccodrillo: preoccupazione, riflessione, bla bla bla, Renzi esprime chiaramente una particolare concezione della democrazia, non a caso molto simile a quella prevalente nella sempre virtuosa Unione Europea. Da bravo Viceré, il premier sa che nell'Italia che si sta disegnando a immagine e somiglianza di Bruxelles il parere degli elettori sarà sempre meno importante, così come sempre più flebile sarà il rapporto tra questi e gli eletti. Tra una cessione di sovranità e l'altra, è inevitabile che si crei una frattura tra governanti e cittadini, con i primi impegnati esclusivamente a portare avanti un piano di modifiche dell'assetto legislativo e costituzionale completamente indipendente dal volere degli elettori ed i secondi utilizzati come mero cavillo per dare legittimità all'azione governativa.

Già oggi, prima ancora dell'approvazione delle cosiddette "riforme istituzionali", l'apparato democratico appare menomato, svuotato di senso, piegato ad uso di interessi "altri" da quelli nazionali. Le camere, formate da parlamentari eletti non per capacità ma per fedeltà a questo o quel leader, sono sempre meno luogo di dialogo e sempre più ufficio di certificazione dell'iniziativa del governo (incredibile la disinvoltura con cui questo esecutivo ricorre al voto di fiducia). A sua volta, il governo agisce all'interno di un binario sempre più stretto e deciso da istituzioni extranazionali in gran parte non legittimate dal voto popolare (Commissione UE anyone?). E dove non arriva il governo arriva il principio di preferenza comunitaria.

In un contesto simile, con alle porte un trattato internazionale che se approvato potrebbe, potenzialmente, consentire ad una qualsiasi multinazionale del Fankulistan di fare causa ad uno Stato Sovrano (e vincerla) perché con le sue leggi ostacola il libero commercio dei wurstel all'uranio impoverito, a chi volete che importi della quantità di elettori che decide di andare alle urne?
Anzi, che se ne restino a casa il più possibile: l'esperienza degli Stati Uniti dimostra che si può tranquillamente governare un paese anche quando metà degli aventi diritto diserta regolarmente il voto. Nel momento in cui il legislatore non sente più come prioritario il legame con il popolo che dovrebbe rappresentare, ma si fa carico di un'agenda stilata altrove, la scelta astensionista si traduce di fatto in una delega in bianco. Il nuovo governatore dell'Emilia Romagna, la cui maggioranza rappresenta appena il 17% dei votanti (in Calabria va un po' meglio, ma siamo sempre al 25%), non sarà per questo meno legittimato a portare avanti il programma confezionato per lui sotto "ispirazione" di qualche ufficio di Bruxelles, e che probabilmente si riassume nello slogan "taglia & vendi".

Più che contro la cosiddetta casta politica, l'astensionismo di domenica rischia di essere un poderoso sputo lanciato per aria.
E si sa di solito dove tende a ricadere...