mercoledì 22 febbraio 2017

Di sciopero dei tassisti, sharing economy ed altre amenità


Ieri, mentre a Roma si consumava l'ennesimo appassionante capitolo della tragicommedia del Pd, le strade attorno alla sede del fu Partitone erano animate dalla protesta di tassisti e ambulanti.

La vicenda di queste due categorie non è che l'ennesimo capitolo del lento processo di erosione dei diritti conquistati negli scorsi decenni, per favorire un nuovo modello di società basato da un lato su grandi masse di lavoratori a basso reddito e ancora più basse - o nulle - tutele, dall'altro su grandi agglomerati di capitale liberi di operare sui mercati più redditizi pagando le tasse nei paesi più vantaggiosi.

La protesta di ieri ha visto anche momenti di forte tensione, con l'uso di bombe carta, cariche della polizia ed alcuni feriti. Naturalmente la violenza non può essere giustificata in alcun modo e per nessuna ragione.

Ciò non toglie che troppo spesso di recente, mascherate dietro le parole magiche "concorrenza", "modernizzazione" e "libero mercato", sono state approvate norme che di fatto hanno impoverito intere categorie di lavoratori, in un contesto economico già alle corde per effetto della crisi, delle scellerate politiche governative e dell'insostenibile impalcatura detta Ue.

Nel caso specifico dei tassisti, la protesta è rivolta da un lato contro gli ncc, dall'altro contro la multinazionale americana Uber, che tramite un software online offre servizi di trasporto privato paralleli a quelli dei taxi, ma a tariffe più vantaggiose perché svincolate da quelle imposte ai tassisti dalle amministrazioni Comunali e perché il servizio non viene operato da professionisti, ma da semplici cittadini che mettono a disposizione parte del proprio tempo libero.

E' la cosiddetta "gig economy", la parte più discutibile del fenomeno della "sharing economy", l'ultimo sogno bagnato dei liberisti di tutto il mondo. E si sta già propagando in molti altri settori, anche se in modo meno evidente: esistono applicazioni che permettono di trasformare la propria casa in un ristorante, organizzando cene a pagamento per completi estranei: non è necessaria una licenza né l'autorizzazione sanitaria, e non vale neanche l'obbligo di partita Iva entro certi limiti di guadagno. Anche il settore alberghiero ha dovuto fare i conti prima con l'esplosione del fenomeno dei bed & breakfast, poi con Airbnb, sistema ancora meno regolamentato degli stessi b&b. 

In tutti questi casi, come per Uber, una parte dei profitti finisce nel conto della società che gestisce la piattaforma di riferimento, libera di avere sede fiscale in un qualsiasi punto della terra. Si guadagna in una data nazione e non si restituisce nulla a quella stessa nazione sotto forma di tasse.

Al di là della fuffa liberista e finto modernista di rito, l'irrompere nelle società evolute di questi fenomeni pone un tema fondamentale: è possibile sacrificare le tutele del lavoro e le garanzie di sicurezza e qualità in nome del massimo ribasso dei costi? E la tecnologia può essere usata come cipria per imbellettare lo sfruttamento di inconsapevoli vittime?

Le tanto vituperate licenze, sia quelle dei taxi sia quelle ormai abolite degli esercizi commerciali, nascevano dalla volontà di garantire una presenza di servizi proporzionale alla domanda, in modo che gli operatori avessero sufficiente clientela da garantirsi un reddito equo e non fosse necessario innescare una lotta al massacro sulla pelle dei propri margini di profitto, cioè del proprio futuro. Le autorizzazioni sanitarie e i vincoli cui sono sottoposti ristoranti e alberghi servono a creare degli standard minimi di sicurezza e igiene dettati dallo Stato, a tutela dei consumatori.

Ora invece si va verso un mondo diverso, in cui chiunque può improvvisarsi autista di mattina, poi chef a pranzo, fattorino nel pomeriggio e magari, in futuro, avvocato o notaio nelle ore serali, chiudendo la giornata come albergatore. Il tutto senza garanzie di reddito né di qualità per la propria "clientela", senza protezione in caso di infortunio o malattia, senza la certezza di una pensione futura.

Potranno anche raccontare che questa società sarà la più moderna, tecnologica e libera di sempre, ma basta pensare al livello di benessere e sicurezza delle scorse generazioni e paragonarlo a questa per capire dove fosse il progresso e dove, purtroppo, si è fatto un salto all'indietro di secoli.

giovedì 16 febbraio 2017

Lavori gratis ai migranti: la sottile linea rossa tra volontariato e servitù di stato


Uno dei punti più caldi nell'agenda del governo del Conte Gentiloni è senz'altro quello dell'immigrazione, cui si attribuisce una non piccola responsabilità per il recente clima di sfiducia nelle istituzioni e montante "populismo".

Come su altri temi, anche in questo caso l'esecutivo di turno si trova schiacciato tra due esigenze opposte: quella dell'Ancien Régime iperliberista che vuole un'immigrazione illimitata nei numeri e infinita nel tempo, da usare come grimaldello per forzare ulteriormente al ribasso diritti e salari dei lavoratori autoctoni, e quella degli autoctoni stessi, stremati da anni di crisi indotta artificialmente e sempre più in difficoltà nell'integrare i nuovi arrivati.

L'ultima trovata per affrontare il problema porta la firma del ministro dell'Interno Minniti, ma sembra trovare ispirazione nella proposta di legge popolare lanciata il mese scorso da Emma Bonino. Il nuovo pacchetto immigrazione del Viminale prevede una ventina di nuovi Cie da massimo 100 posti l'uno, distribuiti in quasi tutte le regioni, ed il rilascio entro due mesi di un "documento temporaneo" per i richiedenti asilo, con il quale questi potranno inserirsi in un circuito di lavori socialmente utili non retribuiti o frequentare stage presso aziende convenzionate. Gli immigrati che accetteranno avranno una corsia preferenziale nella procedura per ottenere lo status di rifugiato, che dovrebbe essere snellita, così come dovrebbero essere potenziate le espulsioni.

Tralasciando la palese insufficienza dei nuovi Cie (o Cpr che dir si voglia) e le pie speranze in tema di accordi con i paesi di provenienza degli immigrati, su cui magari tornerò in futuro, la novità più grave di questa proposta riguarda senza dubbio i cosiddetti "lavori socialmente utili".

Il lavoro, per essere definito come tale, deve essere retribuito.
Un lavoro di qualsiasi genere prestato senza compensi o è un favore, o è servitù.

La proposta Minniti, se davvero non prevede retribuzione per questi cosiddetti lavoratori volontari, introdurrebbe una specie di servitù di Stato legale, con migliaia di immigrati chiamati ad occuparsi di verde pubblico, raccolta differenziata, assistenza all'infanzia o agli anziani (questi sono gli ambiti cui si riferisce il termine "lavori socialmente utili") solo per la speranza di ottenere lo status di rifugiato.
Insomma un ritorno in grande stile e con il patrocinio del Governo della vecchia servitù debitoria, assai in voga tra '500 e '700, quando molti disperati emigravano dal nord Europa verso le colonie americane.
Con buona pace di quelle piccole e medie aziende che oggi osano addirittura farsi pagare per curare il verde pubblico dei comuni, sistemare le strade, assistere anziani, raccogliere rifiuti e via dicendo.

Roba del genere fa sembrare il dumping salariale un'avanguardia dei diritti dei lavoratori!

Come sia possibile nel XXI secolo anche solo ipotizzare un provvedimento di questo tipo, tanto più da parte di un governo sedicente de sinistra, è qualcosa di incomprensibile.

Non posso credere che si stia veramente pensando di reintrodurre la servitù in Europa, perciò darò per scontato che questi immigrati, in Italia senza titoli perché ancora in attesa di essere riconosciuti come rifugiati, verranno assunti e pagati per svolgere lavori socialmente utili in vari comuni italiani.

In questo modo è tutto a posto, giusto?
No.

Perché solo nel 2016 i richiedenti asilo in Italia sono stati 123.482 (Fonte: Ministero dell'Interno) ed anche ammesso che solo 1 su 3 accetti il "lavoro volontario", si tratta di un impegno per lo Stato pari a 41.000 stipendi circa.
Significherebbe creare dal nulla l'ottava azienda in Italia per numero di dipendenti.
Vogliamo dare almeno 500 euro al mese (1/3 dello stipendio medio) a questi lavoratori? Stiamo parlando di 500 x 12 x 41.000 = 246 milioni di euro.
All'anno.
Sempre che il numero di richieste d'asilo non aumenti.

E questo, nella stessa nazione che lamenta il 40% di disoccupazione giovanile ed il trionfo del lavoro tramite voucher a 7,50 euro all'ora, sarebbe un provvedimento a metà tra l'incosciente ed il criminale.

Ancora una volta, la cosiddetta sinistra sembra pronta a svolgere il lavoro sporco per conto del capitale, sfruttando in modo becero gli ultimissimi (gli immigrati irregolari) per erodere i diritti conquistati dagli ultimi (operai, agricoltori, precari, lavoratori a tempo e voucher) in un secolo di lotte sociali.
Ma, come disse qualcuno molto più preparato di me, "le macchie di sangue si notano meno su un grembiule rosso".

venerdì 10 febbraio 2017

Giorno del Ricordo



In Istria Antignana, Barbana, Beca, l'Abisso Bertarelli, Capodistria, Carnizza, Castellier, Castelnuovo d'Arsa, Cernizza, Cernovizza, Cregli, Gallignana, Gimino, Iadruichi, Jurani, Lindaro, Oblogo, Paugnano, Pedena, Pisino, Pisinvecchio, Pogliacchi, Pucicchi, Racia, Raspo, Rozzo, San Salvaro, l'Abisso di Semez, Semi, l'Abisso di Semich, Terli, Terviso, Tregheliza, Vescovado, Villa Orizi, Villa Surani, Vines.

Nel Carnaro Casserova, Castelnuovo d'Istria, Grisane, Obrovo, Odolina, Scandaussina, Isole Brioni, Cantrida.

Nella Venezia Giulia Brazzano, Brestovizza, Gargaro, Jelenca, Zavni.

In Friuli Basovizza, Campagna, Corgnale, Credaro, Drenchia, Gropada, Monrupino, Opicina, Orle, Podubbo, San Lorenzo di Basovizza, Sesana, Ternovizza.

In Slovenia, Cocevie.


I fatti accaduti in quelle terre, le oltre 10.000 vite spezzate sul finire della guerra e ancora in tempo di pace, i 350.000 italiani costretti all'esodo per sfuggire al massacro non meritano i continui, vigliacchi tentativi di negare, minimizzare o giustificare ciò che avvenne.

La vergogna delle foibe e la tragedia dell'esodo dei fiumani, dei dalmati e dei giuliani non devono essere dimenticati.