venerdì 18 settembre 2015

Una storia di Università, pesi e misure




La notizia è di quelle destinate a suscitare scalpore: il rettore dell'Università Giuseppe Garibaldi di Torino ha deciso di permettere l'iscrizione gratuita ai corsi di Laurea del suo Ateneo. Uniche condizioni: essere nati in Italia e provenire da famiglie a basso reddito.

"Da tempo ormai le statistiche indicano l'Italia come uno tra i paesi con il minor numero di laureati d'Europa, - afferma il rettore G. Falsetti - e ciò non può che avere ripercussioni negative sia nel presente che, soprattutto, nel futuro del nostro paese. Questa iniziativa serve proprio a dare un sostegno concreto a giovani e famiglie in difficoltà, permettendo loro un migliore accesso nel mondo del lavoro e un futuro migliore".

"E' fantastico, - ci dice Francesco M., ventunenne originario della Sicilia - finalmente ho l'opportunità di finire gli studi in Medicina: avevo dovuto abbandonarli dopo che mio padre è stato licenziato". Anche Marina C., torinese Doc di 18 anni, sgrana gli occhi blu e sorride: "I miei genitori sono esodati, e senza questa iniziativa non avrei mai potuto pagare le tasse universitarie, nemmeno lavorando. Ora invece posso studiare e presto diventerò un ingegnere".

"E gli altri? - chiediamo - Gli stranieri che volessero laurearsi per trovare anche loro un futuro migliore? L'esclusione da questa iniziativa non li danneggia?"

"Tutto ciò che vogliamo è dare una mano a giovani impegnati a migliorare le proprie condizioni di vita. Nessuna discriminazione verso gli stranieri: per loro sono previste agevolazioni specifiche. Se proprio vogliono, possono iscriversi senza spendere grandi cifre".

Nonostante le parole rassicuranti del rettore Falsetti, non riusciamo a ignorare una sonora nota stonata in questa iniziativa, il sapore amaro che si prova quando qualcuno ottiene privilegi che ad altri vengono negati. E' quel sapore di arbitraria disparità di trattamento che troppo spesso in passato abbiamo visto gonfiarsi fino a diventare esplicito e pericoloso razzismo.

Quella descritta nell'articolo qui sopra è una vecchia storia: qualcuno decide di offrire un trattamento privilegiato nei confronti di qualcun altro, creando di fatto una discriminazione tra chi ottiene il privilegio (nell'esempio dell'articolo i giovani italiani) e chi non lo ottiene (gli stranieri). Spesso situazioni di questo tipo ci vengono presentate come chiari esempi di comportamento razzista. Diamo per buona questa interpretazione dei fatti: Il rettore Falsetti nella sua università discrimina tra italiani (corsi gratis) e stranieri (corsi a pagamento).

Peccato che il rettore Falsetti non esista, così come non esiste Francesco M, né Marina C, e neppure l'Università Giuseppe Garibaldi di Torino.

Invece esiste questo. Corsi e laurea gratis per immigrati.
Per quanto mi sforzi di capire il punto di vista di chi ha promosso l'iniziativa in questione, non riesco a non pensare al crollo di iscrizioni nelle università meridionali, al triste record di abbandoni scolastici che Napoli detiene da anni, a quel 60% di giovani partenopei disoccupati, e mi chiedo se chi ha avuto questa pensata non viva in realtà in qualche cantone svizzero e interagisca con Napoli solo in teleconferenza, o non sia per caso cieco e sordo per non essersi accorto dei giganteschi problemi che stanno lì, sull'uscio di casa sua.

Le risorse necessarie ad organizzare i corsi gratuiti non esistevano prima di quest'anno? Se esistevano, non potevano essere messe a disposizione dei giovani napoletani? E se esistono solo da quest'anno, non potevano essere equamente distribuite tra migranti e residenti, visto che una buona parte di questi ultimi vive in una condizione economica e sociale drammatica?
Perché un corso di laurea gratuito per soli italiani è discriminatorio e uno per soli immigrati no?

Io non riesco a trovare risposte sensate, penso solo a quando, tra 5 o 6 anni, Irfan e Ousaine saranno laureati ed avranno un lavoro - magari lontano dall'Italia - grazie agli studi fatti a Napoli, mentre i loro coetanei nati e cresciuti in quella città non avranno mai avuto neppure l'occasione di iniziare a costruire il proprio futuro.

sabato 12 settembre 2015

Lo sciacallo non indossa scarpe

"Con il termine sciacallo si identificano diverse specie di mammiferi appartenenti al genere dei Canis, e le relative sottospecie. Tutte le specie di sciacallo sono contraddistinte da una taglia contenuta, minore di quella dei lupi. Possiedono una dentatura robusta, con lunghi canini e zampe lunghe e affusolate.
Gli sciacalli occupano una particolare nicchia ecologica, in quanto sono predatori di piccoli animali e, soprattutto, mangiatori di carogne. Sono animali notturni, attivi prevalentemente all'alba e al tramonto". 
(Fonte: Wikipedia)

Una sola precisazione: non ho assolutamente nulla contro i cittadini che nel recentissimo passato hanno deciso di partecipare ad una certa iniziativa a Venezia e in altre città italiane. Magari alcuni di loro, magari molti, qualche anno fa si sono mobilitati anche per protestare contro l'aggressione ad alcuni stati sovrani dell'altra sponda del Mediterraneo, causa prima della tragedia occorsa a tanti abitanti di quelle terre. Magari alcuni di loro sanno che chi è costretto a fuggire dalla propria casa per un qualsiasi evento catastrofico, di solito cerca di tornare appena possibile, e più di tutto apprezza gli interventi che cercano di riportare alla normalità la sua terra.
In ogni caso, sono certo che la stragrande maggioranza dei partecipanti all'iniziativa in questione sia stato animato dai migliori propositi e dal più nobile istinto filantropico.
In fondo, il problema non sono mai i pupi, ma i pupari.

venerdì 4 settembre 2015

L'Archeologo e l'ipocrita


Khaled al-Asaad era un archeologo. Ma prima ancora era un uomo che aveva dedicato l'intera vita allo studio ed alla valorizzazione della propria terra natale, la città di Palmira in Siria, curandone con passione le straordinarie bellezze archeologiche. In cinque decadi di lavoro aveva effettuato numerosi ritrovamenti di grande importanza, contribuendo in modo significativo alla popolarità internazionale dell'area ed alla sua promozione a Patrimonio dell'Umanità in seno all'UNESCO.

Aveva quasi 83 anni il dott. al-Asaad, ma continuava nel suo lavoro nonostante l'età, nonostante una guerra da cui non era fuggito sebbene la sua posizione di archeologo e iscritto al partito Ba'ath (il partito del presidente Assad) lo rendesse inviso sia ai ribelli antigovernativi sia ai tagliagole dell'ISIS. Già una volta, catturata la città, gli uomini del califfato l'avevano "arrestato". La seconda gli è stata fatale.

Khaled al-Asaad è stato torturato, decapitato ed il suo cadavere è stato esposto al pubblico, appeso per i piedi ad un semaforo, con un cartello che lo accusava di parteggiare per il governo di Assad, oltre che di "idolatria" e "apostasia". Nei giorni successivi, l'ISIS ha iniziato l'opera di distruzione di alcuni degli antichi templi di Palmira, radendo al suolo quello di Baal Shamin e, dopo un tentativo fallito, quello di Bel.

Il tempio di Bel (risalente al 32 d.C.) prima e dopo il passaggio dei tagliagole

La notizia dell'assassinio del dott. al-Asaad e della demolizione delle opere che per tutta la vita aveva difeso è stata diffusa nel cosiddetto "Occidente" seguendo l'andamento tipico di questa epoca di saturazione da informazioni: una prima fase di grande evidenza su tutti i media, cui è seguito immediatamente uno sdegno tanto generalizzato quanto formale, che si è tradotto in una serie di "iniziative di protesta" completamente sterili (in Italia la palla al balzo è stata colta dal presidente dell'Anci Fassino che ha proposto - nientemeno - l'esposizione di bandiere a lutto nei musei e nelle sedi culturali) per poi dimenticare rapidamente il tutto, già pronti ad indignarsi per una notizia più fresca.

La vita del dott. al-Asaad, quella dell'altro archeologo ucciso il 12 di agosto, il 37enne Qassim Abdullah Yehya, quella di tutti i siriani morti in patria dall'inizio della criminale guerra civile in gran parte fomentata e finanziata dallo stesso Occidente, non possono essere liquidate allo stesso modo in cui si commemora la morte del massaggiatore di una qualsiasi squadra di calcio.

Non riesco ad immaginare niente di più ipocrita e vile.
Anzi si.

Di più ipocrita e vile c'è questo lembo di mondo impazzito chiamato Occidente, che continua senza sosta a raccontare solo ed esclusivamente il dramma di chi fugge, fottendosene della sorte di chi dalla guerra, dalla sua terra, non vuole o non può andarsene. In questi giorni ovunque ci si giri si è investiti da un fiume di appelli all'accoglienza, allo spirito umanitario nei confronti dei "migranti", di chi affronta il "dramma del mare" per cercare il benessere. Ma l'accoglienza durante una crisi è solo metà del lavoro che dovrebbe compiere una società che si dice civile: l'altra metà è tentare di risolvere la crisi che genera l'esodo. 
Ed in questo senso non è stato compiuto neppure il più piccolo dei passi.

Mentre l'Europa si commuove, si indigna, piange e manifesta sui social network infinito dolore per la sorte della minoranza che ha deciso di abbandonare la propria terra natale in cerca di fortuna, la maggioranza che ancora vive quotidianamente tra bombe, attentati, sgozzamenti, stupri ed ogni altro genere di violenza è inghiottita nel cupo pozzo del disinteresse. Pur disponendo di risorse di ogni tipo per imporre la pace (o almeno ridurre l'intensità delle violenze) se non altro negli scenari più caldi, l'Occidente e l'Europa in particolare si preoccupano solo di quanto aprire le porte a chi scappa, generando inevitabili tensioni al proprio interno che si faranno sempre più tragiche quanto più forte sarà la pressione sui popoli "ospitanti".

A chi importa di chi ancora lotta perchè la sua casa, il suo quartiere, la sua chiesa o moschea non vengano spazzate via da un colpo di mortaio o da un'autobomba? Di chi è troppo anziano o malato per compiere il famoso "viaggio della speranza"? O di chi come Khaled al-Asaad sacrifica tutto per proteggere beni che sono suoi perchè parte della sua identità ma che ha custodito ed offerto a beneficio di tutta l'umanità?  

Eppure aiutando e proteggendo chi ha scelto di rimanere si potrebbe ridare pace e dignità ai popoli precipitati nel caos, e questo oltre a rallentare significativamente le emigrazioni sarebbe un gesto di altruismo mille volte più efficace della sola accoglienza.

Peccato che tutti gli indizi vadano in un'altra direzione: il caos in Africa e Medio Oriente non verrà fermato perché è stato creato ad arte sovvertendo i governi più stabili e laici di quelle regioni; il terrorismo non sarà realmente combattuto perchè è un ottimo babau per addomesticare le opinioni pubbliche occidentali; la tratta dei nuovi schiavi tra le sponde del Mediterraneo continuerà con il suo carico di morti da sbattere in prima pagina perché non si può fermare un business tanto grande e redditizio.

Non potendo chiedere altro, non resta che pregare che almeno ci venga risparmiata l'ignobile, ipocrita pantomima dei minuti di silenzio e delle bandiere a mezz'asta. Il dott. Khaled al-Asaad e le altre vittime della strage in atto alle porte d'Europa meritano almeno questo.