sabato 17 giugno 2017

Verso lo Ius Soli: fotografia di un disastro annunciato

Fonte: Wikipedia

Dopo due anni di limbo, improvvisamente da qualche giorno il cosiddetto "Ius Soli" è tornato in cima alle priorità nazionali, scavalcando di slancio crisi economica, disoccupazione, criminalità e qualsiasi altro dei mille problemi che affliggono questa sfortunata terra.

In Senato è stata garantita una corsia preferenziale a questo disegno di legge, con l'obiettivo di un'approvazione il più rapida possibile. "Anche attraverso il voto di fiducia" si è spinto a dire qualche pasdaran governativo. Immediato e tetragono lo schieramento mediatico a supporto dell'ennesima presunta campagna "di civiltà", per "garantire dei diritti" e "favorire l'integrazione".

Peccato che con civiltà, diritti e integrazione lo Ius Soli non c'entri nulla.
Zero.
Nada.

Lo Ius Soli è solo un tipo di normativa per regolare l'appartenenza di un individuo ad una determinata comunità nazionale, alternativo all'altro sistema, quello dello Ius Sanguinis attualmente in vigore in Italia. Alternativo non vuol dire che comporti un qualche tipo di progresso o maggiore civiltà. Alternativo vuol dire alternativo.

La cartina qui sopra evidenzia l'adozione dello Ius Soli nel mondo: la forma più estesa è in uso praticamente solo nel continente americano, mentre quella "temperata" riguarda una manciata di stati. La grande maggioranza delle nazioni sulla terra (160) adotta lo Ius Sanguinis per regolare la cittadinanza. Paesi che siamo abituati a considerare avanzatissimi e supercivilissimi come Giappone, Olanda e tutti i paesi scandinavi adottano lo Ius Sanguinis. Paesi che siamo abituati a considerare arretrati e meno civili del nostro come Tanzania, Pakistan e Nicaragua adottano lo Ius Soli.

Tentare di spacciare l'adozione dello Ius Soli come "misura di civiltà" non è semplicemente truffaldino.
E' demenziale.

Eliminato l'argomento "civiltà", si ricorre spesso a quello dei "diritti" per sostenere la necessità dello Ius Soli.
Ma questa misura non c'entra nulla nemmeno con i diritti.

In Italia praticamente tutti i diritti garantiti ai cittadini nati da italiani sono garantiti anche agli stranieri:
- I cittadini stranieri hanno accesso all'istruzione - gratuita - come gli italiani;
- I cittadini stranieri hanno accesso alle cure sanitarie - anche gratuite - come gli italiani;
- I cittadini stranieri possono aprire aziende e attività come gli italiani (a volte anche più facilmente);
- I cittadini stranieri possono acquistare casa come gli italiani.

L'unico diritto che differenzia cittadini italiani e stranieri in Italia è quello di voto, che non ha nulla a che fare né con lo Ius Soli né con lo "Ius Culturae", perché riguarda solo i maggiorenni. E comunque gli stranieri nati in Italia o che vivono stabilmente in Italia possono ottenere anche quello facendo richiesta di naturalizzazione.
A conti fatti, non c'è alcun diritto garantito ai cittadini italiani che venga negato agli stranieri.

Tentare di spacciare l'adozione dello Ius Soli come "conquista di diritti" non è semplicemente truffaldino.
E' demenziale.

L'ultima giustificazione che viene data per sostenere lo Ius Soli è che "favorisce l'integrazione".
Ma, spiace dirlo, anche questo è falso.

Il processo di integrazione prevede il coinvolgimento attivo di due parti: lo straniero che deve integrarsi e la società che decide (perché di scelta si tratta, non di obbligo) di accoglierlo. Dimostrato che lo stato italiano già ora è totalmente bendisposto verso gli stranieri che intendano integrarsi, garantendo loro maggiori diritti rispetto a moltissimi altri paesi, se manca la volontà d'integrazione da parte del cittadino straniero, l'integrazione semplicemente non è possibile.

Regalare passaporti come fossero magliette a un concerto non sposta di un millimetro il tasso di integrazione, perché chi vuole integrarsi nella società italiana può farlo già oggi, mentre chi non è interessato rimarrà avulso dalla nostra società anche con un passaporto italiano in tasca.

Non dovrebbe essere neppure necessario ricorrere a questo esempio per chiarire il punto, ma vista l'ottusità che c'è in giro vale la pena ricordarlo: i terroristi di Charlie Hebdo avevano un passaporto francese in tasca, così come i macellai del Bataclan avevano passaporto francese e belga, e il boia di Manchester ne aveva uno britannico.
Questo fatto viene perfino sventolato regolarmente in faccia a chi avanza dubbi sulle recenti immigrazioni di massa: "Guardate che quelli erano francesi / inglesi / nazionalitàeuropeaqualsiasi, mica immigrati!"
Ecco, "quelli" avevano dei passaporti francesi, inglesi, belgi, ma NON erano francesi né belgi né inglesi, perché avevano rifiutato di integrarsi. Anche regalando loro un passaporto francese, inglese o belga all'anno, facendoli votare a 6 anni, donando loro casa, macchina e stipendio, non sarebbero diventati francesi né inglesi né belgi perché non volevano. E non esiste al mondo legge in grado di costringere una persona ad integrarsi in una società di cui non vuole far parte.

Tentare di spacciare l'adozione dello Ius Soli come "processo che favorisce l'integrazione" non è semplicemente truffaldino.
E' demenziale.

Ma allora perché tutta questa foga per un provvedimento che, all'atto pratico, non dà agli stranieri in Italia nulla più di quanto già possano avere?

Perché questa legge qualcosa la cambia: innesca un processo che disgrega l'omogeneità nazionale in una miriade di appartenenze e identità diverse e in conflitto perenne tra loro. Chi sta cercando di imporre lo Ius Soli in tutta Europa (perché al solito il nostro parlamento non fa altro che recepire direttive sovranazionali) non è minimamente interessato all'integrazione ordinata, consapevole e ponderata dei nuovi arrivati all'interno delle società ospiti, ma punta esplicitamente a rompere la coesione sociale inserendo elementi sempre più forti di conflitto etnico, religioso e culturale nelle società, per frammentare all'origine qualsiasi tentativo di ribellione al processo di espansione del divario sociale in atto.

Lo Stato Nazionale è l'obiettivo da colpire, in quanto unico ordinamento nella Storia recente che ha saputo favorire una significativa redistribuzione della ricchezza a vantaggio dei ceti più poveri. Per dirla in altri termini, lo Stato Nazionale è l'unico campo di battaglia in cui i ceti subordinati hanno qualche speranza di difendersi da quello dominante.

Se si uccidono le Nazioni trasformandole in porzioni del globo dalle caratteristiche indistinte, in cui convivono forzatamente identità diverse e incompatibili, si frantumano parallelamente anche i loro ceti più deboli. Non esiste più una comunità nazionale che condivide un percorso storico unitario, ma miriadi di comunità separate ciascuna impegnata a preservare se stessa. Gli abitanti delle banlieu parigine, o di Manor Park a Londra, o di Neukölln a Berlino sono inevitabilmente più interessati a difendere il proprio microcosmo di tradizioni, usi e costumi di provenienza che a fare fronte comune con gli operai o i disoccupati autoctoni con cui condividono una cittadinanza che è nulla più di un pezzo di carta.

In una situazione del genere il ceto dominante, l'Ancien Régime 2.0 che non riconosce alcuna cittadinanza se non quella di classe, non può che vincere.

Per approfondire:

- Attuale legge sulla cittadinanza (Legge 5 Febbraio 1992, n.91)

- La proposta di nuova legge sulla cittadinanza

martedì 13 giugno 2017

Intanto in Germania... (ma il paese della corruzione siamo noi)

Fonte: de.toonpool.com

La più grande frode fiscale nella storia della Germania dal dopoguerra ad oggi.

La tocca piano il settimanale Die Zeit quando deve parlare dell'immenso bubbone di illegalità che sta emergendo nel paese. Lo scandalo Cum-Ex, come è stato ribattezzato, coinvolge almeno 40 banche tedesche, più un centinaio di istituti di credito internazionali, che avrebbero ottenuto dallo Stato rimborsi fiscali non dovuti per un totale che sfiora i 32 MILIARDI di euro.

Due i meccanismi alla base della truffa: il "Cum-Ex" ruota attorno all'acquisto di azioni con (cum) dividendi ed alla vendita di azioni senza (ex) dividendi nel periodo a ridosso del pagamento degli stessi, per ottenere attraverso cavilli contabili rimborsi fiscali multipli a fronte di un singolo pagamento di tasse. Il meccanismo "Cum-Cum" invece prevede il trasferimento short-term o il prestito di azioni di proprietà straniera a banche tedesche, le quali richiedevano un rimborso fiscale sui dividendi allo Stato, cosa che non sarebbe stata possibile agli investitori esteri.

Le prime denunce sui rischi di questi meccanismi in Germania risalgono al 1992, ma sono rimaste inascoltate almeno fino al 2012, quando il Cum-Ex è stato dichiarato formalmente illegale; per il Cum-Cum si è dovuto attendere il 2016. Ora la magistratura tedesca sta indagando sulle transazioni effettuate dal 2001 ipotizzando il reato di evasione fiscale. Secondo le stime, almeno 24,6 miliardi di euro sarebbero stati frodati con il Cum-Cum, e 7,2 miliardi con il Cum-Ex.

Davanti a questo enorme flusso di denaro che per oltre 15 anni è sparito dalle casse pubbliche tedesche, stupisce che nessuna autorità abbia pensato di iniziare delle indagini, innescate solo dalla caparbietà di una giovane assistente amministrativa dell'ufficio delle imposte, che ha subito anche delle minacce per il suo lavoro.

Lo scandalo sta avendo un notevole impatto visto che coinvolge istituti di credito come UniCredit/HypoVereinsbank, Commerzbank, WestLB, HSH-Nordbank ed ha già portato al fallimento della branca europea della canadese Maple-Bank. Secondo l'esperto di criminalità commerciale William Allison "si può dire che virtualmente tutte le principali banche tedesche sono state implicate in un modo o nell'altro".

Dunque la Germania sta scoprendo la più grande frode commerciale della sua storia. Sicuramente i media italiani, sempre attentissimi al tema frodi e corruzione, staranno dando adeguata copertura alla notizia, giusto?

Sbagliato.

A parte un articolo sul Fatto Quotidiano di domenica, e uno nella sezione Economia & Finanza de La Repubblica risalente al 2013, le maggiori testate nazionali hanno semplicemente ignorato questa vicenda. Silenzio totale anche sul fronte delle testate giornalistiche televisive.

Non sia mai che venga disturbata la narrazione ufficiale che vuole noi inevitabilmente corrotti, inetti, truffatori, e gli übermensch tedeschi sempre virtuosi, onesti e incorruttibili.

Fonti:



martedì 6 giugno 2017

C'è la fila per comprare Alitalia. Ma non era un'azienda bollita?


Oggi i commissari nominati dal governo per gestire la svendita ristrutturazione e la cessione di Alitalia si sono ritrovati dal notaio per conoscere le manifestazioni di interesse a rilevare la nostra ex-compagnia di bandiera. Con loro stessa sorpresa, hanno contato ben 32 soggetti interessati con varie modalità all'acquisto del vettore tricolore.

Per il presidente dell'Enac Vito Riggio si tratta di un "risultato oltre le aspettative". Per chi si rifiuta di guardare la realtà attraverso le lenti distorte dell'autorazzismo invece, la notizia non stupisce granché.

Come già evidenziato in un articolo precedente, i problemi dell'ultima gestione Alitalia erano dovuti a scelte dirigenziali sbagliatissime soprattutto sui fronti di manutenzione, handling e assistenza passeggeri, carburante e locazioni. Ambiti specifici su cui è possibile intervenire. La compagnia è stata senz'altro gestita male, ma non è quel "carrozzone" fatto di stipendi di lusso, dipendenti parcheggiati a suon di raccomandazioni e sprechi senza fine che si è troppo a lungo dipinto. Un ritratto che forse era vero 30 o 40 anni fa, non di certo ora.

A fronte di una situazione difficile ma non irrisolvibile, Alitalia ha molto da offrire: l'Italia è uno dei maggiori mercati d'Europa per il trasporto aereo - in aumento dal 2014 di circa il 4% annuo, la compagnia dispone di numerosi slot di assoluto prestigio (nonostante la "curiosa" vicenda di Londra Heathrow) e di personale talmente qualificato da essere finito nelle mire di diverse compagnie straniere, cinesi in testa. Tutti elementi che la stampa qualunquista nostrana ignora, ma i 32 soggetti interessati all'acquisto della compagnia hanno ben chiari.

Nel caso di Alitalia si è puntato i riflettori sui costi fin qui sostenuti dallo Stato (7,4 miliardi di euro in 43 anni, la metà di quanto regaliamo al Fondo salva-Stati OGNI ANNO), omettendo di dire quanto costerebbe per le nostre tasche - in termini di ammortizzatori sociali, distruzione dell'indotto e mancate entrate fiscali - sia la cessione a compagnie straniere, sia lo "spezzatino", sia il fallimento della compagnia.

Ora, constatato che il problema dell'Alitalia non è strutturale ma manageriale, che la compagnia ha un valore superiore a quello contingente come attestato dall'alto numero di potenziali acquirenti, che la stessa non svolge solo un servizio commerciale ma garantisce anche servizi fondamentali per la nazione, che lo Stato ha già investito diversi miliardi per favorire privatizzazioni fallimentari, che l'attuale governo ha già impegnato 600 milioni di denaro pubblico (attraverso un prestito) per le "pulizie" in vista dell'ennesima cessione,

Non sarebbe opportuno chiudere il cerchio e riprendere il controllo pubblico della nostra compagnia nazionale?

Lo so, dopo decenni di bombardamento liberista per molti le parole "controllo pubblico" suonano come una bestemmia, qualcosa di cui non si può e non si deve parlare, eppure i dati Istat ci dicono che ogni anno le partecipate pubbliche portano nelle casse dello Stato circa 1 miliardo di euro di utili, e che la percentuale di aziende pubbliche in perdita è di 7,5 punti più bassa rispetto alle corrispettive aziende private (27,6% tra le pubbliche, 35,1% tra le private).
Ciò dimostra che è assolutamente possibile per lo Stato controllare aziende e farle funzionare efficacemente per contribuire al bilancio nazionale. E' ciò che è accaduto per 70 anni ed ha permesso all'Italia di diventare un gigante economico mondiale.

E' ciò che ancora accade tutti i giorni, nonostante tutto.

venerdì 2 giugno 2017

La festa è finita


Un involucro svuotato.

E' stata questa la sensazione prevalente nell'assistere oggi alla cerimonia per la Festa della Repubblica. Una festa mai particolarmente amata dalla nostra classe dirigente, tanto che per 24 anni si svolse alla chetichella ogni prima domenica di giugno, senza un vero giorno festivo, per non disturbare troppo.

Quando venne ripristinata nella sua forma completa, fu per mano di uno degli artefici della desovranizzazione, quel Ciampi che guidò il riaggancio della lira al sistema Sme e rese possibile l'ingresso nella trappola dell'euro, di cui stiamo ancora pagando le conseguenze.

Un inusuale attaccamento al più tradizionale immaginario patriottico, quello di Ciampi, quasi un'inconscia compensazione per l'incessante, sotterraneo lavoro di smantellamento dei gangli vitali dell'indipendenza nazionale, a cominciare da quello monetario.

Da allora la festa del 2 giugno ha mantenuto la forma: la parata su via dei Fori Imperiali, l'immenso tricolore a decorare il Colosseo, la partecipazione popolare, ma ha perso via via la sostanza di momento di autocoscienza della Nazione e occasione per riconoscerci come popolo in un comune e specifico percorso storico che ci lega a tutte le generazioni passate e a quelle future. Nella nostra festa nazionale oggi non c'è più la Nazione e non potrebbe che essere così, visto che tutte le principali figure istituzionali attualmente in carica sostengono fermamente la diluizione della nostra specificità all'interno di entità più vaste e dai discutibili connotati democratici.

Sia la festa della Repubblica che la Repubblica stessa sono - ormai da tempo - ostaggio di chi le cancellerebbe volentieri.

E' così per il Presidente della Repubblica, ansioso di "completare la costruzione europea", è così per il Presidente del Consiglio, che sogna "gli Stati Uniti d'Europa". Per non parlare dei Presidenti di Camera e Senato, l'una tanto attaccata all'indipendenza nazionale da aver letteralmente lucchettato l'Italia al ceppo dell'Unione per poi buttare le chiavi in un fiume, l'altro instancabile sostenitore della causa unionista al punto da attribuirle successi e meriti inesistenti.

Non è dunque una sorpresa se proprio oggi giunge, per bocca di un Ministro della Repubblica, l'appello a compiere l'ennesimo passo verso la negazione del patto fondativo della nostra comunità nazionale: il passaggio dallo ius sanguinis allo ius soli, la riduzione della nazionalità a semplice atto burocratico, il valore della cittadinanza, con il peso di doveri e responsabilità che comporta, ridotto a una notarella qualsiasi sulla carta d'identità.

La macchina mondialista funziona a pieno regime, ed i terminali italiani hanno tutta l'intenzione di accelerare il più possibile per portare la nazione oltre la soglia di non ritorno prima che la maggioranza dei cittadini si renda conto del danno subito.
La Repubblica non è mai stata così in pericolo dalla sua nascita come in questi anni.