mercoledì 29 luglio 2015

Le mani sulla Sanità



I mesi estivi sono i più amati da una certa politica.

Sono i mesi in cui i cittadini sono più distratti, tra ferie in arrivo e caldo che suggerisce di dedicarsi ad attività leggere, disimpegnate. D'estate è possibile preparare qualsiasi tipo di scempio legislativo e farlo passare sotto il naso dei cittadini in modo quasi indolore. 
L'estate è la vasellina della politica.

Quest'anno, per non venire meno ad una tradizione decennale, si è pensato in grande, prendendo di mira una delle colonne dell'Italia pre-dominio eurista: la Sanità Pubblica. Una bella sforbiciata al bilancio da 10 miliardi di euro (più di 19mila miliardi di lire, per i non €uristi), tanto per gradire. Siccome le parole sono importanti non si parla esplicitamente di tagli, ma di "riorganizzazione del sistema in termini di efficienza, controlli e verifiche". Peccato che di buone intenzioni sia lastricata la strada dell'inferno, e le minori somme a disposizione dei dirigenti regionali si tradurranno quasi per intero in minori servizi e maggiori disagi, incidendo in modo trascurabile sull'efficienza.

Saranno questi 10 miliardi di tagli a far crollare la Sanità Pubblica? probabilmente no, ma l'inevitabile peggioramento dei servizi farà aumentare il sentimento di insoddisfazione e rancore nell'opinione pubblica che, opportunamente condizionata dal lavoro dei media (mi aspetto una ricca produzione di servizi-choc sulla malasanità nei prossimi mesi), creerà il clima più favorevole alla definitiva privatizzazione della Sanità sul modello americano. E se non saranno sufficienti questi tagli, la procedura sarà ripetuta e ripetuta finché non si otterrà il risultato sperato.

L'obiettivo finale in tema di Sanità è talmente chiaro che qualcuno già si spinge a descrivere il futuro che ci aspetta: è il caso del Presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che in un articolo sul Messaggero si augura la creazione di "un 'secondo pilastro' privato e integrativo", ovviamente foraggiato da denaro pubblico sotto forma di "idonee politiche fiscali che favoriscano l'afflusso di risorse da parte delle famiglie e dei lavoratori". Traduzione: rendiamo indecente il Servizio Sanitario Nazionale a furia di tagli, poi proponiamo sgravi fiscali per i cittadini che sottoscrivono assicurazioni sanitarie private ed otteniamo un bel mercato tutto nuovo in cui sguazzare dove prima c'era un diritto garantito dallo Stato.

E' la stessa identica strategia che portò alla fine di un istituto fondamentale per la crescita economica nazionale come l'Iri (ricordate il famigerato luogo comune del "carrozzone di Stato"?), la stessa che sta portando allo smantellamento del trasporto pubblico urbano a Roma, come coraggiosamente denunciato dall'autista Christian Rosso nel video di Youtube di cui tanto si parla in questi giorni.

Così, mentre i lavoratori privati vengono aizzati contro gli statali, gli statali contro i professionisti, i precari contro i lavoratori a tempo indeterminato, i giovani contro gli anziani, il progetto di distruzione dell'assetto sociale costruito in più di un secolo di lotte, lo smantellamento sistematico delle garanzie e delle tutele tipiche degli Stati Nazionali procede senza sosta.
La fame del redivivo Ancient Régime liberista e internazionalista è infinita, e la sua preda preferita siamo noi.

giovedì 9 luglio 2015

Il più grande successo dell'€uro

(ap - giannakouris)
A pochi giorni dal referendum greco, la confusione regna sovrana: i governi europei sembrano inchiodati sulle stesse posizioni della scorsa settimana, pretendendo da Atene una nuova ondata di riforme fatta di più tasse, privatizzazioni, aumento dell'età pensionabile e precarizzazione del lavoro. Le solite ricette che hanno fallito ovunque ma che vengono stolidamente riproposte come un dogma imprescindibile dagli euristi di tutto il continente. I paesi creditori, inoltre, rifiutano anche solo di parlare di taglio del debito e sembrano preferire lo scenario del Grexit alla creazione di un precedente che potrebbe essere pericoloso per i loro denari.

Dall'altra parte dell'oceano invece si tenta di tutto per evitare il Grexit, sia perchè  il crollo dell'Ue vanificherebbe il redditizio TTIP ormai alle porte, sia perché una Grecia cacciata e messa in quarantena dagli altri stati europei non potrebbe che guardare ad oriente per la propria sopravvivenza.
Magari dando alla nuova banca dei Brics concorrente dell'FMI, la NDB, l'occasione per dimostrarsi più efficace ed appetibile rispetto all'istituzione guidata dalla Lagarde sotto la regia di Washington.

Anche lo stesso governo greco, fautore del referendum, appare confuso: probabilmente Tsipras puntava ad una vittoria di misura per poter trattare condizioni leggermente più favorevoli con cui tenere a bada la sua opinione pubblica, e invece si è trovato tra le mani un bazooka politico che gli impone di non tornare se non con un accordo radicalmente più favorevole ad Atene di quelli finora in discussione. Pena una rapidissima e forse esiziale crisi di consensi.
In questo senso la prima mossa greca dopo la schiacciante vittoria dei No, la testa del ministro-simbolo Varoufakis offerta sull'altare delle trattative, sembra un modo per ammorbidire la posizione di Atene e dimostrare la volontà di trovare un compromesso.

L'Unione Europea somiglia ad una stanza in cui tutti hanno iniziato a gridare contro tutti, e nessuno sembra accorgersi dell'enorme elefante che si trova proprio nel centro: la costruzione europea per come la conosciamo è già fallita, ed era fallita prima ancora di iniziare.

Il tentativo di formare ex nihilo un'unione che cancellasse gli stati nazionali del continente non poteva avere successo, come non ha mai avuto successo in tutta la storia dell'umanità. La maggior parte degli stati multinazionali del passato è esistita solo a seguito della repressione della nazione più forte ai danni delle più deboli, oppure per imposizione di potenze straniere: è il caso, tra gli altri, dell'Impero Austro-Ungarico, della Yugoslavia, dell'Unione Sovietica e della Cecoslovacchia.

E' sempre finita male.

Anche gli stati multinazionali ancora esistenti sono continuamente alle prese con rivendicazioni di autonomia più o meno violente: Regno Unito, Belgio, Cina, Russia: ovunque prima o poi una parte della popolazione compie un percorso identitario ed inizia a lottare per decidere autonomamente del proprio futuro.

Gli ideologi ed i fautori dell'Unione Europea, a partire dal famigerato Manifesto di Ventotene, hanno pensato di poter liquidare l'esperienza degli stati nazionali d'un colpo, ignorando deliberatamente le profondissime differenze di cultura, mentalità, pensiero, abitudini, storia, persino lingua che passano tra i vari popoli d'Europa. Come se tutti questi fattori non contassero nulla. Come se l'appartenenza ad un popolo piuttosto che ad un altro fosse un mero orpello privo di significato. Secondo la loro visione del mondo, un uomo è scisso dal contesto sociale in cui vive e può essere indifferentemente aggregato ad una comunità piuttosto che ad un'altra senza che ciò provochi in lui la minima ripercussione. Esattamente ciò che accadeva prima della nascita degli Stati Nazione, quando i sudditi di un re potevano svegliarsi una mattina e scoprire di appartenere ad un altro re, senza avere alcuna voce in capitolo.
Bel progresso, non c'è che dire.

Su questa base traballante, hanno gettato l'insostenibile peso dell'euro, moneta sbagliatissima che non fa altro che drenare risorse economiche e umane dai paesi periferici verso quelli centrali, e dalle classi sociali più umili verso quelle più potenti, aggravando irreversibilmente il dislivello tra nazioni e persone all'interno di queste. Le voci che negli ultimi anni hanno espresso una critica radicale dell'euro sono numerose ed autorevoli, ma all'interno del fortino di Bruxelles si fa finta di niente e si bolla come "populista" nell'accezione deteriore del termine chiunque osi criticare l'idolo monetario unionista.

Ora sembra che alcuni nodi stiano venendo al pettine, l'edificio sballato dell'Unione trema mentre ovunque si fanno sempre più forti le voci delle varie nazioni, mano a mano che i cittadini si accorgono di essere finiti nella rete di un sistema che per esistere deve sospendere a tempo indefinito la democrazia (perché tutte le decisioni importanti vanno prese al riparo dal processo elettorale, ipse dixit) e generare crisi sempre più violente che pieghino le resistenze dei cittadini rispetto al processo in corso: “E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto, visibile, conclamata. […] Abbiamo bisogno delle crisi per fare passi avanti.

Peccato che le cose non stiano andando così, e ad ogni stretta della morsa eurista sempre più cittadini in tutta Europa stiano iniziando a rispondere riscoprendo il valore della propria identità nazionale, dell'autonomia decisionale e delle garanzie democratiche che finora gli Stati Nazionali hanno saputo garantire più e meglio di qualsiasi altra forma di governo conosciuta. In breve, i popoli d'Europa si stanno lentamente risvegliando dall'ipnosi del sogno europeo e tornano a reclamare la concretezza della propria sovranità nazionale.

Domenica sera Piazza Syntagma era affollata di greci in festa, per la maggior parte giovani (il No è stato votato dal 70% dei greci tra i 18 ed i 25 anni), moltissimi con in mano la propria bandiera nazionale:


(epa)
(afp)

Eccolo il più grande successo dell'€uro: un popolo che ha subito in pace gli stessi danni di una guerra, che si è visto negare qualsiasi pietà umana ma al contrario è stato umiliato e messo alla gogna per le difficoltà in cui si trova, scende in piazza e rivendica la propria autonomia decisionale, la libertà di tornare padrone del proprio futuro. Il sonno della Nazione greca sembra avviato alla fine, e questo è un processo che né Bruxelles, né l'Fmi, né lo stesso Tsipras potrà fermare.