venerdì 30 gennaio 2015

Multa paucis

Fonte: Corriere.it
La bandiera dell'Eurocrazia invece continua a garrire indisturbata. Più chiaro di così...

mercoledì 28 gennaio 2015

50 volte il primo bacio



All'inizio fu Tony Blair. Era il 1997 e il nuovo leader dei laburisti inglesi, capace di mettere fine a 18 anni di governo conservatore, conquistava la sinistra italiana ed europea con il suo aspetto giovanile e le sue idee "innovative". L'amore fu grande, ma finì sotto le bombe in Afghanistan e soprattutto in Iraq.

Dopo sette anni sbocciò un nuovo amore, questa volta di sangue latino: José Luis Rodriguez Zapatero, il leader socialista dai magnetici occhi blu, diventava un po' a sorpresa primo ministro della Spagna a pochi giorni dal terribile attentato di Madrid. Quello per Zapatero fu un amore viscerale, e le prime mosse del leader veri sussulti di piacere: ritiro del contingente spagnolo dall'Iraq, via libera ai matrimoni omosessuali con relative adozioni, sperimentazione medica della cannabis, persino una riforma della tv che in qualche modo finiva per danneggiare gli interessi di Mediaset in Spagna. Negli anni del lavaggio del cervello berluscones - antiberluscones ce n'era abbastanza per perdere la testa!
Storditi da tanto ardore riformista, i più non si accorsero però che c'era un settore in cui il querido lider non si discostava di una virgola dai popolari brutti e cattivi che l'avevano preceduto: l'economia. Mentre si levavano peana generici al boom economico della Spagna, Zapatero aumentava la flessibilità del lavoro con un proto-Jobs Act e rendeva più semplici i licenziamenti. La crisi del 2008 fu una doccia gelata: il boom spagnolo era un clamoroso bluff basato su una bolla immobiliare senza precedenti, e i tanti innamorati di Zapatero sbatterono il grugno contro una realtà fatta di 4 milioni di disoccupati, debito privato al 177% del Pil e debito pubblico raddoppiato.

Le dure batoste continentali portarono i negletti a guardare oltreoceano, dove stava nascendo l'astro di Barack Obama. Era il 2009 e la crisi era appena agli inizi, il primo candidato di colore alla presidenza degli Stati Uniti sembrava il messia giunto per porre fine al regno del male di Bush e portare pace e prosperità nel mondo con la nuova religione dello Iesuichén (che qualcuno da noi tentò di copiare con un mesto "Si può fare"). Stavolta l'infatuazione fu planetaria, ed il sigillo arrivò con il primo premio Nobel per la pace preventivo della storia. Grande l'amore, difficile il distacco, e così solo dopo aver assistito ai lunghi tentennamenti in politica interna ed alle varie marachelle qua e là per medio oriente, africa mediterranea e Ucraina la passione si spense in tiepida amicizia.

Nel frattempo in Europa, all'ombra della Tour Eiffel, germogliava il nuovo amore per François Hollande. Socialista come Zapatero, Hollande era più borghese, più compassato, e l'amore per lui fu meno travolgente rispetto a quello per i suoi predecessori. Con lo spagnolo condivideva però le strategie di seduzione: ritiro del contingente dall'Afghanistan, più tasse "per i ricchi", pensione a 60 anni, matrimoni e adozioni gay, con in più la novità della lotta all'austerità, che dopo 6 anni di crisi continentale suonava come qualcosa di rivoluzionario. “Io rinegozierò il trattato siglato dal presidente uscente e dai capi di Stato e di Governo europei” diceva nel momento della sua elezione. Anche quella storia finì male.

Negli ultimi mesi la scintilla ha ripreso vigore, stavolta in direzione di Atene, dove un giovane di nome Alexis Tsipras ha risvegliato nuovamente la passione. Tsipras non è socialista (né comunista) ma più genericamente "di sinistra radicale", non porta la cravatta e le sue promesse contemplano tra l'altro il ritiro dei contingenti greci in Afghanistan e Balcani, più tasse "per i ricchi", depenalizzazione del consumo di droghe e lotta all'austerità. L'ultimo è il punto qualificante che gli ha permesso di ottenere il governo della Grecia appena due giorni fa: "L'austerità della Troika è finita" si è affrettato a dire appena saputo della sua vittoria. E molti in Italia hanno provato un brivido di piacere.

E' decisamente troppo presto per prevedere se anche questa storia d'amore finirà con piatti rotti e volo degli stracci e si spera, soprattutto per il popolo greco, di poter vedere almeno stavolta un lieto fine.
I precedenti però sono tanti.
E tutti tremendamente sfavorevoli.

venerdì 23 gennaio 2015

L'Uomo Bidimensionale




Lo spettacolo andato in scena durante la trasmissione "diMartedì" di Floris, con il confronto tra Massimo D'Alema e Marine Le Pen sui temi dell'euro e dell'Unione Europea (qui l'intera puntata), è stato un perfetto esempio della composizione delle forze in campo che già ora, ma sempre maggiormente nei prossimi anni, si affronteranno in Europa.

Da un lato i cosiddetti "populismi", ovvero i portavoce del disagio dei vari popoli che compongono la cosiddetta Unione, sempre meno felici delle condizioni economiche e del modello di società che gli viene offerto; dall'altro un variegato mondo che si può definire "europeista" e che comprende molti cattolici, liberali di vario genere e quasi tutta la fu sinistra, con rare marginali eccezioni.

Tra le altre, c'è una differenza fondamentale che separa le due forze e che le rende veramente alternative (nel senso più radicale del termine): la visione del futuro.

Il mondo "europeista" determina le politiche del presente sulla convinzione di avere la certezza di come sarà il futuro. Il loro ragionamento-tipo è: "bisogna fare questi sacrifici oggi, perché domani accadrà sicuramente questo". E' la riedizione delle antiche "Magnifiche sorti e progressive" di cui già si faceva beffa il buon Leopardi quasi 200 anni fa, un tipo di pensiero che ha molto a che fare con la religione e poco con la comprensione della realtà.

Così come il meccanismo base di quasi tutte le religioni è la gestione del presente attraverso la presunzione di conoscere il futuro (ad es. i cristiani sanno che verrà il Regno dei Cieli con il ritorno di Cristo sulla terra, e per questo predicano - oggi - un certo tipo di morale funzionale a ciò che accadrà domani), gli europeisti suppongono di conoscere a priori la società che verrà nel futuro, ed in base a questo cercano di plasmare il presente. Poco importa che la società del presente sia consenziente.

Durante l'intervista sia D'Alema che Pinotti danno più volte esempio di questa mentalità lineare: la loro prospettiva è schiacciata tra un unico possibile futuro e un ritorno al passato. Indietro non si può tornare ripetono continuamente (ed a ragione, almeno finché non sarà inventata la macchina del tempo). Ma al contempo non vedono nessun possibile "avanti" diverso da quello che hanno in mente, come se la storia dei popoli fosse costretta in un binario prestabilito. La storia come una linea piatta e immutabile, l'uomo costretto in una realtà bidimensionale.

Dall'altro lato i populisti pongono l'accento sul presente perché in gran parte (fa eccezione ad esempio il M5S che costituisce di fatto un ibrido) determinano le politiche da adottare oggi in base all'esperienza del passato. Il populismo nasce quando il confronto tra le condizioni di vita del presente e quelle del passato va a vantaggio delle seconde, quando nella società è forte la sensazione che "si stesse meglio prima". Non esiste un unico futuro possibile, perché la storia ha già dimostrato di poter prendere direzioni imprevedibili, e soprattutto è inaccettabile costringere le società a sofferenze e sacrifici solo per conformare il presente all'ideale che si ha del futuro.

Nel dibattito la posizione di D'Alema è che la meta da raggiungere sia già decisa, senza possibilità di ripensamenti: "Non si possono rimettere indietro le lancette della storia". Nessuna voce in capitolo per la volontà popolare, che deve solo adeguarsi all'inevitabile. Al contrario, Marine Le Pen insiste sulla necessità che siano i popoli, liberamente, a costruirsi il proprio futuro:  "Nostalgica delle libertà del popolo che deve decidere del suo futuro". Nessun accenno a mete inevitabili, nessun binario obbligato, nessun futuro prestabilito.

E' questa la vera natura delle forze in campo: da un lato una ideologia-religione che pretende di avere la conoscenza del futuro e fa di tutto per adattare ciò che è a ciò che (secondo lei) sarà, dall'altra il pensiero semplice di chi rivendica la libertà di poter decidere autonomamente del proprio futuro e sa per esperienza che il cammino dell'uomo non prevede mete inevitabili né condizioni immutabili: i libri di storia sono pieni di Imperi e Unioni che sarebbero dovuti durare per sempre, salvo crollare o disciogliersi uno dopo l'altro.

mercoledì 21 gennaio 2015

Illusionisti



Il commissario Ue per gli affari economici Pierre Moscovici: «Più flessibilità all’Italia ma fate gli sforzi per le riforme»

E' dunque arrivata la tanto attesa flessibilità, quella che farà ripartire occupazione-e-crescita e metterà la parola fine alla crisi di questo piccolo, sofferente lembo di terra. Sort of.

Nello specifico l'Italia dovrà fare sforzi per ridurre il rapporto deficit/Pil non più dello 0,5%, come precedentemente stabilito, ma "solo" dello 0,25%. In cambio di questa generosa concessione, Bruxelles si attende una prova di fedeltà da parte dei sudditi italiani: le agognatissime "riforme".

Le stesse riforme iniziate con il governo Monti e proseguite, seppur con minore lena, dal duo Letta - Renzi. Le stesse riforme che non hanno aiutato di una virgola la riduzione del debito (che ha continuato bellamente a crescere).
Le stesse riforme che non hanno aiutato di una virgola l'aumento del Pil (che ha continuato a scendere).

Le favolose riforme che dietro le parole magiche "competitività", "lotta agli sprechi", "flessibilità" nascondono tagli ai salari, annientamento delle pensioni per le generazioni che oggi hanno 30-40 anni, abrogazione anche dei più elementari presidi di Stato Sociale, quelli per intenderci che hanno caratterizzato la politica di quasi tutte le nazioni Europee ed in particolare dell'Italia nel secolo scorso, garantendo oltre 50 anni di benessere diffuso.

Eccolo qua il gioco di prestigio, l'illusione trasmessa a reti unificate: da un lato si distrae la platea con qualcosa di apparentemente positivo, un mero diversivo reso però abbagliante dai riflettori dei media, dall'altro si colpisce non visti il vero obiettivo: il benessere, il risparmio, le tutele, i servizi: tutto ciò che forma la qualità stessa della vita della platea.


mercoledì 14 gennaio 2015

Grazie Presidente.


Grazie Presidente per tutto il lavoro svolto in questi nove anni,

Grazie per l'assoluta imparzialità dimostrata in ogni occasione, che l'ha resa davvero Presidente di tutti gli italiani, a prescindere dalle idee politiche;

Grazie per essersi fedelmente attenuto al mandato costituzionale;

Grazie per aver impedito lo svuotamento del sistema democratico, bloccando il tentativo di svincolare Senato e Province dal voto diretto dei cittadini;

Grazie per aver continuato con coerenza ad opporsi alla moneta unica, di cui lucidamente aveva già previsto l'insostenibilità nel lontano 1978;

Grazie per la forza con cui si è opposto al tentativo di deporre un governo democraticamente eletto a colpi di spread, e per le coraggiose parole con cui ha difeso l'indipendenza nazionale davanti alla vergognosa lettera-diktat di Bruxelles;

Grazie per averci evitato un governo tecnico, mantenendo saldo il principio della sovranità che, come recita l'articolo 1 della Costituzione, appartiene al popolo;

Grazie per aver difeso i diritti di pensionati e lavoratori;

Grazie per la lucidità con cui capì che abbattere il governo di Gheddafi in Libia avrebbe solo creato caos e devastazione per quel popolo, finendo oltretutto per danneggiare anche gli interessi italiani;

Grazie per aver capito che le "riforme strutturali" in un momento di debolezza dell'economia sono deleterie e non aiutano né crescita né occupazione.

Sono stati anni lunghi e difficili, ma ora potrà godere del giusto riposo e di maggior serenità. Ne approfitti, e lasci ad altri l'arduo compito di occuparsi della cosa pubblica. Lasci perdere le faticose aule parlamentari e lo sfibrante dibattito politico. Si riposi e si dedichi agli affetti.

Dopo tanto lavoro, non possiamo chiederle di più.

martedì 13 gennaio 2015

L'Otelmizzazione dell'economia

Ecco perché tanti politici sono incrollabilmente euroentusiasti:
provate voi a fare il rituale del Divino con le 100 Lire...

Qualche mese fa, un po' per divertimento un po' per esasperazione, ho cercato di raccogliere alcune delle immancabili dichiarazioni di premier e ministri italiani circa l'imminenza della "ripresa". Le interviste di questo tipo sono, ormai dal 2008, un appuntamento fisso della vita nazionale, un po' come Sanremo o il cinepanettone. Cambiano i protagonisti, la storia è sempre la stessa: "Quest'anno è andata male, ma sicuramente dall'anno prossimo si tornerà a crescere!". Una tradizione simpatica (si può anche tentare il toto-ripresa, cercando di indovinare il prossimo che s'incaricherà di pronunciare la fatidica minchiata profezia) ma un po' logora, anche perché dopo 6 anni iniziano a scarseggiare sinonimi e giri di parole per esprimere un concetto che è sempre lo stesso.

Per fortuna a far uscire dall'imbarazzo politici e capi di Stato è arrivata una nuova moda, che prende il posto del vecchio e stantio ripresismo (noto anche come annoprossimismo) e lo porta ad un nuovo livello: sto parlando dell'Otelmismo.

Basta con analisi rompicapo! Basta con la polverosa logica! L'Otelmismo rinfresca la vita politica nazionale ed europea con una ventata di frizzante freschezza! Perché costringere i propri cittadini a complicati ragionamenti fatti di cause ed effetti, quando li si può rallegrare con frasi rassicuranti e promesse miracolose?

La nuova moda ha subito fatto breccia ai massimi vertici continentali, tanto che lo stesso neo-Presidente della Commissione europea, Juncker, ha sfoggiato un brillante esempio di Otelmismo con il suo celeberrimo Piano: "Serve qualche centinaio di miliardi di euro per smuovere la comatosa economia europea? E' presto fatto! Qui ce ne sono 21, ma grazie all'antico rituale della Lhevah si moltiplicheranno quindici volte... ed avremo più di 300 miliardi a disposizione!"
Chissenefrega che il "rituale" consista in un mero espediente di finanza creativa che, semmai funzionasse, rischierebbe di agevolare più i paesi in salute di quelli in difficoltà! L'Otelmismo non si cura di queste quisquilie!

Per non sfigurare, anche l'Italia ha presentato i suoi campioni di Otelmismo, a partire dal ministro Padoan, che giusto ieri ha lanciato questo formidabile vaticinio:

Fonte: Il Sole 24 Ore
Otelmismo purissimo, quello del ministro dell'Economia, che non tenta nemmeno più di negare la catastrofica realtà («Purtroppo la disoccupazione è cresciuta», il quadro macroeconomico dell’Europa «si è deteriorato», la deflazione «è vicina»), consapevole della forza del suo rituale.
La recessione scomparirà. 
Punto.

Per salute e amore invece bisogna chiedere un consulto privato, ovviamente sul numero a pagamento...

lunedì 5 gennaio 2015

Il clamoroso autogol dei Vigili urbani di Roma


Tra le notizie più gettonate in questi primissimi giorni di 2015 c'è quella della megaepidemia che avrebbe tenuto a casa ben 8 vigili urbani di Roma su 10 la notte di Capodanno. Mi pare opportuno sottolineare due semplici elementi:

1- La clamorosa diserzione dei vigili urbani non c'entra niente con l'assenteismo, ma somiglia moltissimo ad un tentativo (sbagliato, sbagliatissimo) di protestare contro una situazione lavorativa e contrattuale sempre più difficile;

2- Con il loro gesto opinabile ma tutto sommato comprensibile, i vigili urbani romani hanno segnato una clamorosa autorete, che verosimilmente risulterà fatale circa le speranze che le loro istanze vengano accolte.

Le motivazioni dei Vigili
I vigili urbani della Capitale sono in agitazione da anni, e molte sono le cause: la mancata riforma della polizia locale che avrebbe dovuto fare chiarezza sull'inquadramento di questi funzionari (attualmente sono considerati come impiegati qualsiasi, nonostante il loro lavoro sia per molti versi accomunabile a quello della polizia), la scelta del Sindaco Marino di nominare un Comandante "tecnico" estraneo al corpo dei vigili stessi, il cosiddetto piano anticorruzione voluto dal Comandante Clemente che prevede massicci spostamenti territoriali del personale, il contratto bloccato da otto anni e, non ultima, la vexata quaestio del nuovo contratto decentrato che elimina le indennità accessorie e introduce nuovi criteri di flessibilità e valutazione della produttività. A ragione o a torto, i vigili urbani di Roma si sentono sotto attacco e reagiscono manifestando il proprio disagio.

La posta in gioco
Molto più che le beghe relative al Comandante o alla turnazione territoriale, il piatto forte della questione è il contratto decentrato, che va nella stessa direzione del Jobs Act approvato per il settore privato e sembra l'antipasto di ciò che toccherà ai dipendenti pubblici nel prossimo futuro: una potente compressione del costo del lavoro diretta (tramite tagli agli stipendi) o indiretta (ad esempio aumentando il carico di lavoro per singolo dipendente). D'altra parte che i lavoratori italiani, pubblici o privati, debbano rassegnarsi a lavorare di più guadagnando di meno è fuor di dubbio e fa parte del prezzo da pagare al moloch della moneta unica: se devi rimanere competitivo e non puoi svalutare la moneta, devi svalutare il costo del lavoro. Il Jobs Act va esattamente in questa direzione, il contratto decentrato approvato a Roma va in questa direzione, e c'è da star certi che anche la prossima riforma Madia della Pubblica Amministrazione seguirà lo stesso solco. Si tratta di cambiamenti odiosi, che impoveriscono il ceto produttivo medio-basso, ma che possono essere trasformati agli occhi dell'opinione pubblica in operazioni sacrosante attraverso la costruzione di un apposito frame: proprio quello che i vigili urbani di Roma, con la loro protesta, hanno finito per rafforzare.

L'autogol dei Vigili
Con i fatti di Capodanno, i vigili urbani della Capitale non solo hanno segnato un autogol, ma lo hanno fatto servendo un assist clamoroso alla squadra avversaria. Basta fare un giro per i social network o parlare con una persona qualsiasi per capire che la percezione delle motivazioni che hanno portato alla protesta è pari a zero, e tutto il caso viene visto come l'ennesimo episodio di assenteismo dei soliti statali fannulloni. Mi è capitato di sentire questo ragionamento anche da dipendenti statali stessi! Ben lontani dal sensibilizzare la cittadinanza sui propri problemi o dallo spaventare l'amministrazione capitolina, i vigili romani sono diventati il bersaglio perfetto per una campagna di diffamazione del pubblico impiego (che di suo, c'è da dire, non fa molto per farsi amare) condotta in modo martellante su tutti i media: non a caso dopo i vigili di Roma, la stampa ha fatto a gara per mettere alla gogna i netturbini di Napoli, gli autisti di Bari e via dicendo.
Si potrebbe desiderare un clima migliore per introdurre il Jobs Act del pubblico impiego?

Come volevasi dimostrare...

venerdì 2 gennaio 2015

L'Unione bifronte


E così, dal 1 gennaio la Lituania è il 19° paese della zona euro.

Naturalmente la grancassa di regime non si è fatta attendere, e sulla stampa nostrana è tutto un fiorire di "feste", "conquiste", "innamoramenti" e via dicendo, a sottolineare quanto fascino abbia ancora la moneta unica agli occhi di chi non ce l'ha.

Ma è davvero così?

Secondo Eurobarometro... no. In un sondaggio svolto tra il 4 ed il 6 settembre 2014, è emerso che:

- 4 lituani su 10 ritengono la propria nazione non pronta ad introdurre l'euro;
- il 48% degli intervistati ritiene che l'euro avrà conseguenze negative per la Lituania e solo il 44% ritiene l'opposto;
- il 45% teme ripercussioni personali negative in seguito all'adozione della moneta unica, contro un 37% fiducioso;
- il 49% è contrario all'euro, contro un 47% favorevole.

Sono risultati che non inspirano grandi "feste" né "innamoramenti", ed esprimono per lo più incertezza e timore della popolazione lituana rispetto alla moneta unica. Incertezza e timore cui la quasi totalità dell'arco politico lituano risponde con un ottuso eurottimismo, vecchio film già visto anche qui in Italia dove si favoleggiava di lavorare un giorno di meno guadagnando come se si lavorasse un giorno di più e altre castronerie simili. Abbiamo visto com'è andata a finire.

In generale, sembra che alla base dell'adesione non ci siano tanto motivi economici, quanto piuttosto il desiderio di stringere maggiormente i legami atlantici in chiave antirussa, come sottolineato dal governatore della Banca Centrale Lituana Vasiliauskas: «L’euro è uno strumento per una nostra maggiore integrazione: più vicini siamo all’Occidente, più lontani siamo dall’oriente». I rapporti tra Mosca e Vilnius infatti sono quantomai freddi, con la prima che ha esplicitamente etichettato la seconda come «terrorista» in merito alla vicenda ucraina, nonostante da Mosca dipendano ancora circa il 20% delle esportazioni lituane e la quasi totalità degli approvvigionamenti di gas.

Per quanto riguarda le aspettative economiche dei governanti lituani riguardo a questa mossa, viene riproposto il solito specchietto per le allodole che ha già fregato le opinioni pubbliche di tanti paesi: abbattimento dei tassi d'interesse dei titoli di stato, maggiore capacità di attirare capitali esteri, azzeramento dei costi di cambio. Peccato che sul lungo periodo questi apparenti benefici risultino di gran lunga inferiori ai costi, sia economici che di restrizione della sovranità, della moneta unica...

Di certo per ora, e per qualche tempo ancora, la Lituania si godrà il volto rassicurante dell'Unione Europea, coccolata ed esibita come un trofeo. Speriamo che non debba in futuro vedere l'altro volto di Bruxelles, quello che da anni ringhia sulla Grecia imponendo sacrifici sanguinosi quanto inutili.