sabato 27 gennaio 2018

Trump a Davos: Un po' di buon senso nel cuore della sbornia globalista


L'intervento del presidente degli Stati Uniti Donald Trump al Forum Economico Mondiale di Davos era atteso con un misto di curiosità e diffidenza, considerata l'esplicita ostilità che gran parte del salotto buono della globalizzazione nutre da sempre nei suoi confronti. Già nei giorni scorsi gli alfieri del globalismo radicale avevano preparato il terreno con attacchi frontali - particolarmente duri quelli della solita Angela Merkel e del primo ministro indiano Narendra Modi - contro The Donald. Il palco di Davos fino a ieri aveva ospitato solo infiniti peana sulle magnifiche sorti e progressive dell'ultraliberismo globalizzato e solenni atti d'accusa verso i "pericoli" delle "chiusure", del "protezionismo" e del "nazionalismo".

Poi sul palco è salito il 45° presidente Usa, e lo spartito è cambiato:


In un discorso breve e dai toni pacati, forte degli ottimi risultati economici del suo primo anno di mandato, Trump ha illustrato una visione del mondo antitetica a quella ossessivamente ripetuta fino a quel momento dai leader dell'Ancien Régime globalista e dai loro Viceré, inserendo semplici elementi di buon senso in un contesto che sembra aver perso completamente i contatti con il mondo reale.

Quali sono i cardini della politica di Trump? Sono riassunti nel famoso "America First", cioè nella consapevolezza che la missione di un uomo di governo è occuparsi prima di tutto delle esigenze del popolo che lo ha eletto. Non dei capricci dei mercati internazionali, non della costruzione di improbabili sogni unionisti, non di pericolosi esperimenti di ingegneria sociale, non della stantia retorica di ponti e muri, ma molto più semplicemente di proteggere e custodire il benessere del proprio popolo. Un invito, quello ad occuparsi prioritariamente del benessere dei propri cittadini, che il presidente Usa ha rivolto ad ogni leader mondiale:

"In questo consesso" ha detto Trump in un passaggio del suo discorso, "sono presenti alcuni dei cittadini più importanti di ogni parte del mondo [...]. Ciascuno di voi ha il potere di cambiare le opinioni, trasformare le vite e plasmare le sorti dei vostri paesi. Tuttavia assieme a questo potere c'è un obbligo, un dovere di lealtà al popolo, ai lavoratori ed ai consumatori che vi hanno fatto divenire ciò che siete. Perciò assumiamoci insieme l'impegno di usare il nostro potere, le nostre risorse e le nostre voci non solo per noi stessi, ma per i nostri popoli, per alleviare i loro fardelli, riaccendere la loro speranza e dare forza ai loro sogni. Per proteggere le loro famiglie, le loro comunità, le loro storie ed il loro futuro".

Proteggere, custodire, alleviare... avete idea di quanto possano suonare aliene queste parole alle orecchie di chi da anni predica sacrifici, austerità e rigore? Di chi predica un'ideologia economica basata sulla metodica compressione salariale del suo stesso popolo (due esempi a caso: uno che inizia per C ed un altro che inizia per G)?

Per anni gli Stati Uniti hanno privilegiato un'economia a trazione finanziaria, che ha recato gravi danni al tessuto industriale, aumentato significativamente il deficit commerciale ed impoverito soprattutto il ceto medio-basso. Ora Trump intende tornare ad un'economia a trazione industriale, ed a Davos ha chiaramente fatto intendere che si riserva di usare tutti gli strumenti a disposizione di uno Stato Sovrano (riforma fiscale, svalutazione della moneta, dazi doganali, incentivi al ritorno in patria di capitali e strutture industriali delocalizzate) per centrare il suo obiettivo.

L'invito agli altri paesi è di prendere esempio dalla scelta statunitense e avviare il ritorno ad economie più sane, in cui gli scambi commerciali siano "giusti" ed "equi" e l'occupazione principale dei capi di stato e governo sia migliorare le condizioni dei propri cittadini.

La stampa mainstream non nasconde di considerare Trump mentalmente instabile. Se così fosse, c'è da sperare che il suo stesso tipo di follia contagi presto anche altri leader mondiali: magari riusciremmo a liberarci dell'incubo che i "savi" globalisti hanno sognato per noi...

martedì 9 gennaio 2018

Multa Paucis 5

Raffronto Italia 2011 Italia 2016
L'Italia brutta del 2011 e quella bella del 2016. O era il contrario?
Dato che mancano ancora due mesi alle elezioni, e questa particolare cazzata "post-verità" l'ho già sentita troppe volte, ho preparato il simpatico schemino qui sopra, da sbattere sul grugno di chi "nel 2011 c'era il baratroh MA PERO' adesso c'è la ripresah!!!".

Perché va bene che ogni limite ha una pazienza, ma qui le stiamo superando tutte...

mercoledì 3 gennaio 2018

TG1 e Brexit. Storia di un "rapporto complicato".


Di solito non mi capita mai di guardare il Tg1, preferendo prodotti "per palati più forti" come il Tg3 o il TgLa7. Oggi però mi è capitato di fare un'eccezione ed è così che ho scoperto questa perla a proposito degli effetti della Brexit sul turismo in Gran Bretagna.

Di seguito troverete il link all'edizione delle 13.30, la "perla" arriva a partire dal minuto 00:19:00

TG1 - TG1 ore 13:30 del 03/01/2018

"Meno visitatori italiani, francesi e tedeschi nel Regno Unito, dicono i dati ufficiali; forse sono le incertezze Brexit a pesare". Dopo un'introduzione del genere, con un titolo come quello che vedete a caratteri cubitali alle spalle del conduttore, una persona normale si attenderebbe un servizio su come la Brexit abbia danneggiato il turismo in Gb... e invece a sorpresa il giornalista continua a spiegare: "...Ma Londra registra comunque un nuovo record grazie a cinesi e americani"

Aspetta.

"Meno visitatori... incertezze Brexit" mi dici, e poi Londra registra un nuovo record? Al Tg1 siete in piena crisi da dissonanza cognitiva? Decido di prestare maggiore attenzione al resto del servizio, incuriosito da un incipit tanto ossimorico.

Come l'introduzione, anche il servizio dell'inviato da Londra inizia con parole chiare e nette: "L'effetto Brexit colpisce anche il turismo, per il secondo anno consecutivo diminuisce il numero di cittadini Ue che scelgono la Gran Bretagna".

Ok, quindi l'effetto Brexit è negativo e il turismo in Gb scende. Andiamo avanti:

"Dal referendum del 2016 c'è stato un calo del 4% negli arrivi da Francia, Germania e Italia...". Chiaro, calo di visite, la Brexit ha colpito, sciocchi inglesi, li avevamo avvisati.

Segue una breve supercazzola su un presunto effetto psicologico per cui i viaggiatori europei (prima si parlava solo di francesi, tedeschi ed italiani, ora sono tutti gli europei) sarebbero diffidenti ad andare in Gb dopo il referendum. Qualcosa tipo la ripicca della fidanzatina offesa, immagino. Andiamo avanti.

"...Compensa l'aumento dei visitatori da Cina e Stati Uniti grazie ai vantaggi della sterlina debole...". Compensa? Quindi l'effetto Brexit non è più negativo? La sterlina debole (svalutazioneh!1!!1! orroreh!!!!11) porta vantaggi?

"...Tanto che il dato complessivo [...] segna un incremento dei flussi [...] circa il 7% in più rispetto all'anno precedente, e un nuovo record..."

COSA??? Ma se le presenze complessive aumentano, e si fa il nuovo record, l'effetto Brexit dove sta? Nel record?

Non posso credere che il Tg dell'ora di punta della rete pubblica ammiraglia tiri fuori una roba del genere, devo andare a controllare le fonti. Sul Times la notizia è stata pubblicata ieri ed è molto simile al servizio passato dal Tg1. Peccato, l'inviato avrebbe potuto anche elaborare un po' del suo davanti ad una notizia tanto ambigua, ma tant'è.

Passo oltre e vado sul sito di Visit Britain, che ha pubblicato lo studio ripreso dal Times prima, e dal Tg1 poi. Non trovo esattamente lo studio citato, ma mi imbatto nella pagina delle previsioni per il 2018, che contiene anche una analisi del 2017. Ecco il link

Ed ecco il grafico dell'andamento del turismo in Gb dal 2012 ad oggi:


Un trendo quinquennale di aumento dei turisti che procede senza alcuna variazione prima e dopo il referendum diventa "effetto Brexit" e "incertezze Brexit" che pesano.

Vabbè.

Poi ci si stupisce che uno inizi a preferire un altro genere di giornalisti...


2018

Il 2017 si è chiuso da pochissimi giorni, e con esso una delle peggiori legislature della storia repubblicana.

La XVII legislatura, nata monca dopo la non vittoria del Pd alle elezioni del 2013, ha visto comunque insediarsi tre governi (Letta, Renzi, Gentiloni) e due Presidenti della Repubblica, grazie anche al tasso record di cambi di casacca tra i parlamentari.

In perfetta continuità con l'esecutivo "tecnico" che aveva chiuso la legislatura precedente, ed in ossequio al volere dell'Ancien Régime 2.0, si è portata avanti la precarizzazione del mondo del lavoro con il Jobs Act, avviata la privatizzazione della previdenza pubblica con l'introduzione di un provvedimento volutamente contorto quale l'Ape, la distruzione della Scuola tramite sperimentazioni bislacche e la sua mutazione in distributore di manodopera a costo zero tramite l'alternanza scuola-lavoro.

Estranei al concetto stesso di interesse nazionale, i governi degli ultimi cinque anni hanno eseguito con spirito pronto e obbediente ogni ordine giunto da Bruxelles o dagli altri centri di potere economico finanziario, spesso mostrandosi più realisti del re nell'eseguire quanto richiesto.

Una legislatura perennemente in bilico tra tragedia e farsa, come l'ultimo provvedimento entrato in vigore (ovviamente a ricezione di una norma "europea"), che obbliga tutti noi a pagare persino i sacchetti della frutta al supermercato.

Pur in clamorosa assenza di un chiaro mandato elettorale, queste maggioranze sgangherate hanno addirittura tentato di stravolgere la Costituzione ed il funzionamento delle istituzioni con una sciagurata riforma, fortunatamente cassata dal volere popolare con il referendum del 4 dicembre 2016.

La forte reazione dell'opinione pubblica è stata decisiva anche per scongiurare un altro scempio, quello Ius Soli che avrebbe contribuito in brevissimo tempo a frantumare ancora di più la coesione delle categorie sociali avvitandole in lotte intestine etnico-religiose e lasciando le élite libere di proseguire indisturbate nella demolizione dello Stato Sociale e nell'esproprio della residua ricchezza privata ancora nelle disponibilità della classe media.

Tra sessantuno giorni esatti il voto popolare chiuderà definitivamente questa storia e ne aprirà una nuova, che potrebbe riprendere dove questa è finita, o assestare quella scossa benefica al paese ed al continente e segnare l'inizio del risveglio della Nazione dopo un sonno durato troppo a lungo.

La linea di faglia che deciderà l'uno o l'altro esito è sempre la stessa da ormai più di un decennio: la volontà di affrontare la questione Unione Europea ad iniziare dal suo strumento più coercitivo: la moneta unica.

Qualsiasi altra proposta, qualsiasi altro programma che prescinda dall'affrontare la questione dell'euro ed i danni che questo sistema sbagliato arreca all'Italia è semplice fuffa, e si rivelerà come tale quando l'ennesimo "Ce lo chiede l'Europa" ci costringerà a dirottare ancora una volta le risorse della nostra economia nel demenziale tentativo di soddisfare obiettivi irraggiungibili.

D'altronde a Bruxelles hanno già anticipato da mesi che il prossimo esecutivo, qualunque sia, sarà chiamato a varare entro breve una manovra aggiuntiva necessaria a "riallinearsi ai target europei". Tanta è la considerazione che si ha per i concetti di democrazia e autodeterminazione da quelle parti.

Il 2017 è stato - a torto - raccontato come l'anno della ritirata delle forze sovraniste, mentre iniziava un bombardamento mediatico volto ad instillare il frame della ripresa economica e dell'uscita dalla crisi. La realtà percepibile spostando anche di poco il velo di Maya è tutt'altra, e parla di una nazione ferma da un decennio, impegnata in inutili sforzi di rigore che anziché produrre risultati positivi distruggono la domanda interna e aggravano la crisi. Una terra che fu in grado di scalare le classifiche dei paesi più industrializzati fino a competere con nazioni molto più grandi e potenti, e che dal 2000 (entrata in vigore della moneta unica) ha visto sparire un quinto della propria capacità industriale. Un paese che non solo ha smesso di fare figli - sabotando il suo stesso futuro - ma che tramite tassi di disoccupazione mantenuti artificiosamente a livelli altissimi spinge i giovani ad andarsene in cerca di fortuna, riaprendo una pagina dolorosa della sua storia che si sperava chiusa per sempre da almeno un secolo.

La strada che imboccammo decenni fa, accettando di vincolarci alle esigenze di altre economie del continente, è chiaramente sbagliata e disastrosa. Il voto del 4 marzo potrebbe essere l'ultima occasione per recuperare la nostra indipendenza avendo ancora a disposizione i mezzi per tornare a competere e vincere.

Non possiamo perderla.