sabato 20 dicembre 2014

Il semestre evanescente

Nella giostra dell'Ue prendi calci nel culo anche se rifiuti di darli...

Tra una manciata di giorni si concluderà ufficialmente il semestre di presidenza italiana della Ue, la finestra temporale in cui finalmente avremmo dovuto far sentire e pesare la nostra voce a Bruxelles, facendo deviare almeno un poco il carrozzone eurocratico dall'inflessibile rotaia del rigore. Cosa si è raccolto in questi sei mesi?

Praticamente nulla. Ma vediamo nel dettaglio:

Intanto questo è il programma del semestre, intitolato con molta modestia "Europa, un nuovo Inizio". Nell'introduzione si legge: "Le principali sfide di oggi rimangono: la ripresa dalla crisi economica e finanziaria, l’aumento dell’occupazione, il rafforzamento dei diritti fondamentali e il sostegno ai cittadini europei per tenere il passo con un mondo in rapido mutamento. La Presidenza italiana del Consiglio UE è determinata ad affrontare queste sfide per aiutare l’UE a progredire".

Lavoro: Il punto fondamentale, almeno nelle intenzioni, del semestre a guida italiana, è forse quello in cui il fallimento è più eclatante. Nei sei mesi a guida italiana non è stato fatto assolutamente nulla per arginare l'emorragia di posti di lavoro in atto in Europa; la disoccupazione continua a crescere in tutta la periferia, quella italiana in particolare è passata dal 12,8% del luglio 2014 al 13,2% di ottobre. La disoccupazione giovanile è aumentata dal 42,8% di luglio al 43,3% di ottobre (fonte Istat).
La strategia italiana a riguardo prevedeva un grande evento-spot da tenersi a Torino, città simbolo del declino industriale italiano ed europeo. Neppure questo si è riusciti ad ottenere, ed il governo si è alla fine accontentato di un summit a Milano, poco più di uno scambio di formalità tra capi di Stato e di Governo, sui cui risultati non è dato sapere.

Politiche energetiche: Altro clamoroso tonfo. L'Italia proprio durante il suo semestre di presidenza ha assistito inerte all'accantonamento del South Stream, di cui si era parlato qui, progetto strategico per le esigenze nazionali clamorosamente boicottato a tutti i livelli da Bruxelles. Il risultato è stato un crollo delle azioni di Saipem e la restrizione del campo d'azione di Eni.

Politica Estera: Qui una vittoria apparente ci sarebbe stata. Federica Mogherini è Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Ruolo che viene spacciato per "Ministro degli Esteri dell'Unione Europea" ma che somiglia più al ruolo del Dalai Lama: tanta immagine e zero potere reale. In più l'ex-ministro degli Esteri italiano ha dovuto fare pubblica professione di fede antirussa prima di ottenere l'investitura, ponendosi quindi preventivamente in posizione antitetica agli interessi strategici italiani. Il peso dell'Italia è stato nullo nella vicenda Ucraina, nullo nella vicenda dei nostri marò in India, nullo nell'affrontare l'emergenza sbarchi in Sicilia, nullo nel tutelare gli imprenditori italiani danneggiati dalle sanzioni contro la Russia.

Ambiente: Il pacchetto clima della Ue è stato chiuso in ottobre e definisce direttive in termini di riduzione delle emissioni di Co2 e aumento della quota di energia rinnovabile. Ma si tratta di linee guida da applicare nei prossimi anni, quindi niente di concreto. Certo l'attuale desertificazione industriale di intere regioni dell'Unione sarà di grande aiuto nell'abbattere l'inquinamento, con buona pace dei posti di lavoro che vengono e verranno bruciati.

Investimenti e crescita: Su questo tema si è assistito ad autentiche acrobazie per spacciare come storica vittoria quello che in realtà è un brodino caldo somministrato ad un malato terminale. La presidenza italiana non è riuscita a spostare di un millimetro le posizioni rigoriste di Bruxelles, ed ha dovuto elemosinare una dilazione temporale di 3 mesi sui suoi conti per evitare una legge di stabilità pesantissima. A marzo però i tecnocrati di Bruxelles torneranno alla carica, e stavolta non accetteranno scuse. Riguardo il Piano Juncker c'è poco da dire: intanto non è stato ancora approvato - se ne parlerà solo a febbraio - poi bisogna ricordare che il denaro messo a disposizione da questo salvifico progetto è pari a 21 miliardi di euro da dividere tra i 28 paesi dell'Ue. La cifra di 315 miliardi che viene continuamente ripetuta è il frutto di una pia speranza, quella che ogni euro di questo fondo possa generarne 15 tra investimenti pubblici e privati. 
 La stessa efficacia di una danza della pioggia in pieno deserto del Mojave.

Concludendo: Sconfitta sul fronte South Stream, ignorata nella vicenda marò, presa in giro sul fronte immigrazione, bacchettata per il rispetto del rigore, l'Italia deve ingoiare anche la mancata approvazione della legge a tutela del Made in, ultimo rifugio per la nostra agonizzante produzione bloccato tanto per cambiare, dai paesi del Nord. 
Davvero un gran bel risultato per quello che doveva essere il "nuovo inizio" dell'Europa, non c'è che dire.

mercoledì 10 dicembre 2014

La scelta di Paulo

Paulo Dybala
La notizia è di qualche giorno fa: il giovane attaccante del Palermo Paulo Dybala ha rifiutato l'offerta di Antonio Conte per un posto nella nazionale italiana.

“No podría salir a defender los colores de otro país como si fueran los míos, prefiero esperar que me toque un llamado de Argentina” (Non potrei difendere i colori di un altro paese come se fossero i miei, preferisco aspettare una convocazione dall'Argentina): parole che sembrano venire da un altro tempo, quelle del ventunenne di Laguna Larga, e da un altro mondo; lontanissime da quel calcio-business che in nome del denaro sgretola appartenenze, bandiere e nazionalità.

Come se indossare la maglia di una nazionale piuttosto che di un'altra sia del tutto indifferente, una semplice questione di marketing, al massimo un'occasione per spuntare contratti più lucrosi. Nel calcio globalizzato basta un bisnonno finlandese per vestire la maglia biancoblu. Non importa che non si sia nati in Finlandia, non si capisca una parola della lingua e neppure si sappia trovare Helsinki su una cartina geografica: Business is business, ed i soldi non hanno tempo per romanticherie demodé come l'attaccamento alle proprie origini, il senso di Patria.

Ma dall'alto dei suoi 21 anni, di una carriera ancora agli inizi e già molto promettente, di una storia personale dolorosa e per nulla banale, l'argentino Paulo Dybala fa scalpore per aver compiuto una scelta di semplice buon senso: giocare per la sua gente, vestendo la maglia della sua Nazione.

Perché la nazionalità non è solo una scritta sul passaporto, non è un banale dato burocratico da poter assegnare e cambiare a capriccio: nazionalità è la lingua che parliamo e con cui pensiamo, il panorama della nostra infanzia, l'aria che abbiamo respirato, il cibo che abbiamo mangiato. Sono tutte le abitudini e i piccoli rituali quotidiani che abbiamo imparato, sono i volti e le voci dei nostri cari. Tutto questo e la volontà di riconoscersi in un determinato contesto umano, di "fare squadra" per contribuire secondo le proprie capacità ad una storia che è al tempo stesso personale e collettiva.
Esattamente ciò che ha scelto di fare Paulo Dybala, calciatore argentino.

P.S. Di tutto questo, la stampa nostrana ha capito che Dybala preferisce la maglia albiceleste perché "vuole giocare con Messi". Come sempre c'è chi guarda la Luna e chi non vede oltre il dito che la lindica...


mercoledì 3 dicembre 2014

Stream of (un)consciousness


Ed alla fine Putin abbandonò il tavolo.

La lunga e tormentata vicenda del gasdotto South Stream giunge al capolinea, vittima dell'assurda guerra non convenzionale combattuta tra due pezzi d'Europa: la Russia e la tecnocrazia Ue. Con gli stati membri della seconda a fare da cannon fodder per il vero giocatore d'oltreoceano.

L'epitaffio al progetto, almeno nella forma attuale, è arrivato non a caso durante l'incontro tra Putin ed Erdogan ad Ankara. "Tenendo conto del fatto che finora noi non abbiamo ricevuto autorizzazioni dalla Bulgaria [1], crediamo che nelle condizioni attuali la Russia non possa continuare con la realizzazione del progetto" ha annunciato il presidente russo, dichiarando contestualmente l'intenzione di dirottare il percorso del gasdotto verso la Turchia.
Ancora più laconico il ceo di Gazprom Alexei Miller: "il progetto è finito".

Come al solito la notizia è stata opportunamente distorta dai media nostrani, facendo passare per sconfitta di Putin quello che è a tutti gli effetti un gesto di puro autolesionismo della Ue, ed una vera disfatta (l'ennesima negli ultimi anni) italiana, che tramite l'Eni era stata artefice e partner principale dei russi nel progetto. Ma il South Stream, idealmente gemello del North Stream già operativo, non è mai piaciuto ai nostri cari tecnocrati di Bruxelles ed ancora meno a Washington, che puntava le sue carte sul progetto Nabucco, il cui gas proviene dalle più "amichevoli" Georgia e Azerbaijan.

Come già accadde anni fa con lo sconsiderato rovesciamento di Gheddafi, la principale vittima collaterale della partita a scacchi energetica è l'Italia, che perde di colpo una partnership strategica, importanti commesse (2,4 miliardi di dollari, il 10% dell'intero portafoglio ordini, solo per la Saipem) ed un grande canale di rifornimento per le proprie industrie. Oltre ad una non indifferente quantità di posti di lavoro.

Il nostro Viceré ancora una volta fa spallucce, mentre il governo si affretta ad indicare fantasiose fonti alternative che dovrebbero garantire un prospero futuro energetico alla Nazione (posti notoriamente stabili ed affidabili come Mozambico, Congo Brazzaville e Angola, oppure progetti come il Tap, con tutte le sue problematiche di impatto ambientale ed in cui il coinvolgimento delle aziende energetiche italiane è pari a zero).

D'altra parte, quando come unica strategia si ha lo smembramento e la svendita del nostro patrimonio industriale per pagare un debito pubblico sulla cui genesi ci sarebbe moltissimo da dire, a che serve preoccuparsi di creare opportunità di crescita per le nostre aziende? Che senso ha darsi da fare perché l'Italia resti allo stesso tavolo dei grandi paesi industriali del mondo, quando si rimane pervicacemente aggrappati ad un organismo (la Ue) la cui politica è antitetica all'interesse nazionale?


[1] I lavori di realizzazione del gasdotto sono bloccati dalle autorità bulgare, che non vogliono contravvenire alle norme Ue sulla separazione tra chi fornisce e chi commercializza il gas, rinunciando di fatto ad utili per 400 milioni di dollari all'anno.