venerdì 7 luglio 2017

La fantaverità dell'Inps sugli immigrati



Il presidente dell'INPS Boeri dev'essere un grande appassionato di fantascienza.

Almeno così si deduce leggendo le dichiarazioni rilasciate in occasione della relazione di accompagnamento alla "Relazione Annuale" dell'ente presso Montecitorio. Come la fantascienza lega una base di realtà (un fattore scientifico o tecnologico) ad una narrazione di fantasia, così la relazione presentata a Montecitorio, nella parte in cui si occupa del contributo dell'immigrazione ai conti previdenziali, parte da una base reale per approdare a conclusioni che con la realtà hanno poco a che fare. Il risultato è una "fantaverità" utile forse per rafforzare uno spin già presente nell'informazione, ma che nulla aggiunge al dibattito concreto sul tema dell'immigrazione.

Boeri ci dice che: "La chiusura delle frontiere agli extracomunitari [da oggi fino al 2040 ndr] significherebbe, a prezzi costanti 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate agli immigrati con un saldo netto negativo di 38 miliardi per l’Inps".

Ovvero: se nei prossimi 22 anni non entrassero più extracomunitari in Italia l'Inps avrebbe un buco nei propri conti di 38 miliardi.
E se mia nonna avesse avuto le ruote...

La simulazione presentata dall'Inps non ha alcuna utilità pratica perché:

1. Parte da un assunto che nessuna forza politica, neppure la più contraria all'immigrazione, auspica (azzeramento degli ingressi di stranieri in Italia);
2. Dà per scontato che il comportamento degli stranieri rimanga identico nell'arco di oltre venti anni (arrivo di individui per lo più giovani, che lavorano e pagano i contributi ma poi escono dall'Italia "regalando" all'Inps i contributi maturati);
3. Si spinge in una previsione di lunghissimo periodo (22 anni) assumendo che la situazione sociale, demografica, economica e politica italiana rimanga invariata per tutto il tempo.

La base di realtà da cui muove Boeri è incontestabile: gli stranieri che lavorano regolarmente in Italia pagano i contributi previdenziali. E ci mancherebbe altro. In questo momento, essendo l'immigrazione di massa un fenomeno recentissimo nella storia d'Italia, i lavoratori regolari stranieri versano contributi ma ricevono molto poco dall'Inps, dato che nessuno o quasi di loro ha maturato le condizioni per avere la pensione. Quindi l'Inps, in questo momento, ci guadagna.

Peccato che il gioco non potrà durare a lungo, e non è neppure giusto che continui. Prima o poi i lavoratori stranieri invecchieranno e vorranno la loro pensione, e i guadagni accumulati dall'Inps andranno a farsi benedire. O Boeri ci sta dicendo di accogliere sempre più lavoratori stranieri, farli lavorare qualche anno e rispedirli a casa prima che maturino i requisiti pensionistici, per avere un guadagno costante? Un sistema del genere non avrebbe un vago sapore di sfruttamento?

Inoltre, per far lavorare qualcuno - incredibile ma vero - serve che ci sia lavoro. E l'Italia non ne ha poi molto da offrire, come testimonia l'oltre mezzo milione di italiani emigrati negli ultimi 8 anni. L'aumento di persone in cerca occupazione, nel momento in cui i posti disponibili sono sempre meno, comporta un abbassamento degli stipendi (svalutazione del lavoro), che è la causa principale da un lato dell'esodo di italiani all'estero, dall'altro del fatto che "ci sono lavori che gli italiani non vogliono più fare". Ma gli stranieri si, perché un lavoro che per gli standard italiani è mal pagato, può ancora essere allettante per uno straniero che viene da una situazione ancora peggiore. Vogliamo un futuro con stipendi dignitosi e garanzie sociali adeguate, o un futuro fatto di povertà, sussidi pubblici di sopravvivenza, disoccupazione galoppante e lavori sottopagati?

L'Inps sembra propendere per la seconda ipotesi, visto che parallelamente al suggerimento di importare quote sempre maggiori di manodopera per calmierare artificialmente il costo del lavoro, sostiene anche l'altro strumento tipico delle società neoliberiste: reddito d'inclusione e salario minimo, necessari per tenere a freno il malcontento dei lavoratori privi delle tradizionali tutele sociali, previste e garantite dalla nostra Costituzione (anch'essa ormai ridotta a funzionare part-time).