venerdì 25 luglio 2014

Lo strano caso Terna - Snam, ovvero lo Stato del vicino è sempre più verde

Più o meno dai tempi di Tangentopoli (ormai più di 20 anni fa), ogni governo insediatosi a Palazzo Chigi ha contemplato, nel suo programma, un forte impulso alle privatizzazioni. Per capire di cosa stiamo parlando in termini semplici, ci affidiamo alla definizione di Wikipedia:

La privatizzazione è quel processo economico che sposta la proprietà di un ente o di un'azienda dal controllo statale a quello privato.

Detta così, una privatizzazione non sembra niente di che, un semplice passaggio di proprietà in linea con i dettami del liberismo, che nega allo Stato qualsiasi ruolo attivo nel mercato. Magari potrà sembrare un po' strano che tutti i governi succedutisi da allora, a prescindere dal colore politico, abbiano ripetuto pedissequamente il ritornello del "più privatizzazioni" (salvo poi passare dalle parole ai fatti con modalità e tempi diversi), ma il dato saliente rimane questo: in Italia bisogna privatizzare.

Perché si privatizza? Sostanzialmente per due motivi:

1) Aumentare l'efficienza - Questo è un evergreen. Siccome lo Stato è tanto brutto e pieno di gente che non ha voglia di lavorare, raccomandati e incapaci, bisogna liberare le potenzialità di alcuni mercati lasciando che sia l'intraprendenza e la virtuosità dei privati ad imporsi. Il privato - così recita la vulgata - è in grado di ridurre gli sprechi, abbattere i prezzi e contemporaneamente aumentare la qualità di un servizio. Il privato - continua la litania - è immune allo sperpero di denaro, perché il denaro è suo e non di tutti. Quindi un settore economico affidato a diverse aziende private in competizione tra loro garantisce risultati migliori rispetto ad una gestione statale dello stesso settore.

2) Pagare debiti - Per molto tempo i politici hanno evitato di usare questo argomento per giustificare le privatizzazioni, visto che il messaggio implicito trasmesso è in contrasto con la loro necessità di apparire sempre "vincenti" e "in controllo" della situazione. Tuttavia, a partire dall'austerissimo governo tecnico Monti nel 2011 anche questo tabù è caduto ed ora si parla senza remore di vendere proprietà pubbliche solo per abbattere il debito.

Le ultime vittime dell'inesorabile processo di svendita del patrimonio costruito dagli Italiani (già, proprio da noi, che tanto ci facciamo schifo) in decenni di impegno e sacrifici sono Snam e Terna, attraverso la cessione alla società cinese State Grid Corporation del 35% di Cdp Reti, contenitore che controlla le due aziende italiane. Dall'operazione, il governo conta di ricavare circa 2 miliardi di euro. Il tutto per soddisfare (manco a dirlo) uno dei tanti impegni-imposizioni presi con l'Unione Europea, che chiede all'Italia di privarsi di beni per circa lo 0,7% di Pil all'anno per 4 anni.

2 miliardi di euro per cedere un terzo di attività che ne fatturano circa 6 (3.946 milioni di euro Snam e 1.896 Terna), con utili per circa 1,5 miliardi di euro (fonte Wikipedia).

Non serve un genio per capire quanto cieca, disperata e assurda sia un'operazione del genere: intanto a fronte di 2 miliardi subito, lo Stato perderà ogni anno un terzo degli utili che percepisce attualmente dalle due aziende. Mentre i 2 miliardi guadagnati finiranno (presto), i mancati utili derivanti da questa cessione continueranno ad arricchire la nuova proprietà di anno in anno, a memento di quanto stupida sia stata questa mossa. Se almeno i profitti della svendita fossero investiti in qualcosa di produttivo, si potrebbe giustificare in parte la decisione... ma no!  
Il Governo sta sottraendo agli italiani un terzo della proprietà delle infrastrutture gas e luce per ridurre il debito pubblico. Di 2 miliardi. Su un totale di 2.166 e spicci.

Questo punto è importante e va ribadito:
Il Governo sottrae il 35% della proprietà delle reti gas e luce per abbattere il debito dello 0,09%
Il Governo sottrae il 35% della proprietà delle reti gas e luce per abbattere il debito dello 0,09%
Il Governo sottrae il 35% della proprietà delle reti gas e luce per abbattere il debito dello 0,09%

Se non bastasse quanto scritto finora, c'è un altro elemento che aggiunge ridicolo all'intera vicenda:
la società che acquisterà un terzo delle nostre reti gas e luce è... pubblica.
Capito il meccanismo? Siccome lo Stato deve uscire dall'economia, si vendono le società controllate dallo Stato italiano a società controllate dallo Stato cinese. Come a dire che il pubblico è brutto solo se è nostro. Nessuno ovviamente si chiede perché la Cina, secondo paese al mondo per PIL, se ne freghi del dogma privatizzazioni al punto da continuare a definirsi, almeno sulla carta, paese socialista di mercato. E nessuno ricorda più che il miracolo economico italiano è nato e si è sorretto sulle basi di una economia mista, dove grandi aziende pubbliche ci hanno permesso di entrare e rimanere per decenni tra le grandi economie mondiali.
No, qui si butta tutto mare per seguire obbedienti le direttive dell'Unione Europea, che sono in evidente contrasto con i nostri interessi nazionali, con la nostra stessa sopravvivenza di grande Nazione capace di competere alla pari con le altre in settori chiave.

E la lista dei saldi di fine nazione continua:

- Poste
- Enav
- Eni
- Enel
- Cdp Tag
- SACE
- Grandi Stazioni...

sabato 12 luglio 2014

Indesit e l'emigrazione dei marchi italiani



E così, anche Indesit ci ha lasciati.
Con l'acquisto da parte di Whirpool del 60,4% del celebre marchio di elettrodomestici, l'industria italiana perde il controllo di un altro dei suoi pezzi pregiati, uno dei pilastri attorno a cui si formò il famoso boom degli anni '60.
Un'azienda capace di occupare nel periodo di massima espansione fino a 12.000 impiegati (tutti in Patria), tanto per dire.

Certo, la storia del marchio torinese non è sempre stata florida, con una lunghissima crisi negli anni '80 culminata nell'acquisizione da parte dei rivali della Merloni Elettrodomestici (Ariston), che però seppero far fruttare l'investimento al punto da raggiungere il secondo posto in Europa nel settore. 

Ricerca, innovazione, specializzazione... Indesit Company (dal 2005 il nuovo nome della Merloni Elettrodomestici), a dispetto del mantra autorazzista per cui le aziende italiane "non fanno gli investimenti", ha sempre puntato sull'eccellenza, ma non si è salvata lo stesso dallo shopping straniero.

Un fenomeno, quello dell'acquisto di marchi italiani da parte di aziende estere, che ha raggiunto proporzioni preoccupanti, come evidenziato lo scorso anno nel rapporto Eurispes dall'eloquente titolo Outlet Italia. Cronaca di un paese in (s)vendita. Dal 2008 al 2012 sono 437 le aziende italiane acquistate da gruppi esteri. Tra queste, eccellenze come Krizia, Frau, Telecom, Fiorucci (alimentari), Bulgari, Ducati, Valentino, Algida, Richard Ginori.

Alla faccia dell'Italia che deve impegnarsi per "attirare capitali esteri"!!!

Ora, posto che i capitali esteri arrivano eccome da queste parti, al punto che interi comparti tra i più strategici per l'Italia come quello alimentare, quello delle telecomunicazioni e quello della moda sono quasi completamente sotto controllo di gruppi esteri, perché non viviamo ancora in un paese fantastico dove tutti hanno lavoro, il Pil vola e le aziende non sono più brutte sporche e arretrate come quando erano di proprietà italiana? Perché i lavoratori di qualsiasi azienda, quando sentono che la loro fabbrica potrebbe passare nelle mani di un qualche gruppo estero, provano un brivido lungo la schiena ed iniziano mobilitazioni preventive?

Una risposta esauriente si trova in questo articolo del Prof. Bagnai su Il Fatto Quotidiano ed in quest'altro di GPG Imperatrice su Scenarieconomici.it, dove tralatro si spiega che la vendita all'estero di aziende italiane è negativa, nella maggior parte dei casi, per due ragioni:

  1. Parte delle acquisizioni vengono fatte con scopi tutt'altro che benefici per la nostra Nazione: aziende straniere acquistano marchi locali per accaparrarsi brevetti o know-how, eliminare concorrenza acquisendo al contempo una nuova rete commerciale o sfruttare il prestigio di un brand già noto delocalizzandone nel tempo la produzione (purtroppo i consumatori continuano a percepire come provenienti da un dato paese anche merci che quel paese non produce più).
  2. Anche ammesso che l'azienda di proprietà estera mantenga la struttura produttiva in Italia, porterà comunque nel proprio paese i ricavi, causando in ultima istanza un deficit nella bilancia dei pagamenti, quindi incidendo in negativo sul Pil (proprio quel Pil che i capitali esteri dovrebbero far ripartire).
Anziché continuare a sognare lo "zio d'America" (o di Russia, o di Cina) che ci salvi con le sue benevole acquisizioni, sarà forse il caso di elaborare un piano industriale nazionale almeno per difendere i settori strategici della nostra economia? Sarà il caso di rimboccarci le maniche e produrre valore, come già abbiamo dimostrato di saper fare più volte nella nostra storia?

lunedì 7 luglio 2014

L'Italia e il frame autorazzista

Prendete una comunità, anche una virtuale purchè sufficientemente grande, come ad esempio quella di Facebook.
Ora manipolate le informazioni cui accedono i membri di questa comunità, ad esempio facendo in modo che alcuni utenti accedano in prevalenza a contenuti (stati d'animo, riflessioni, immagini) "positivi", mentre altri a contenuti in prevalenza negativi.
Fate passare un determinato lasso di tempo e verificate le reazioni dei due gruppi: ciascuno finirà per produrre un maggior numero di contenuti in linea con l'umore generale cui è stato esposto.
Questa è la natura dell'esperimento svolto dal colosso fondato da Zuckerberg di cui tanto si è parlato recentemente, che ha portato alla luce un fenomeno detto “contagio emotivo”.
Secondo questo fenomeno, l'esposizione ad un numero elevato di messaggi con un dato contenuto emotivo, spinge il soggetto ad "allinearsi emotivamente" con gli altri ed a produrre a sua volta messaggi calibrati sullo stato emotivo generale.
In spicci: Se intorno a me tutti sono depressi, divento un po' più depresso anch'io.

Ora prendete un'altra comunità, sempre sufficientemente grande e omogenea, come ad esempio una Nazione.
Sottoponete i membri di questa comunità ad una impressionante mole di messaggi negativi / distruttivi sulla natura stessa della comunità. Cose tipo: "Solo in questo paese è possibile (rubare/corrompere/frodare/evadere/delinquere/usare violenza)", "Questo è il paese della (mafia/casta/delinquenza/corruzione/omo-xeno-qualsiasiprefissogrecizzante-fobia)".
Fate passare un determinato lasso di tempo, diciamo qualche decennio, e verificate i risultati.

Troverete una comunità depressa, arrabbiata, incapace di fare gioco di squadra perchè convinta che il compagno stia barando, insofferente alle regole (qualsiasi regola) perché convinta che tutti gli altri non le rispettino, incapace di filtrare le critiche provenienti dall'esterno distinguendo tra fondate e infondate.
Una comunità priva di autostima. Anzi, peggio.
Una comunità profondamente autorazzista.
L'Italia del XXI secolo.
La terra in cui il 90% delle analisi sulla situazione sociale, politica o economica (che si tratti di analisi accademiche o semplici chiacchiere da bar) si risolve in un profluvio di ItaGlia, italioti, repubblicadellebanane etc. etc.

Commenti autorazzisti pubblicati sui siti di vari quotidiani

A questo punto è bene fare una precisazione: è lampante che la Repubblica Italiana non versi in buona salute. Sono evidenti i problemi che la attanagliano sotto ogni aspetto, così come è palpabile il declino politico, economico e culturale del Bel Paese.
Ma l'illegalità, la corruzione, l'abuso di potere NON SONO EREDITA' GENETICHE. Non c'è un gene nel DNA italiano che ci rende più propensi all'imbroglio, non esistono spore di illegalità nell'aria né strani virus corruttofori nell'acqua della porzione di mondo che va da Lampedusa a Trieste (Trento e Bolzano no, perchè lì a detta dell'opinione pubblica "le cose funzionano", salvo poi imbattersi in piccoli particolari).

C'è invece un racconto tutto sbagliato della storia italiana, che distorce i fatti alla luce di un razzismo becero e gretto indicando come causa di tutti i mali l'essenza stessa dell'essere italiani. E questo frame di pessimismo e sentimento autodistruttivo perennemente ripetuto dai maggiori media genera, come nell'esempio di Facebook, un contagio emotivo con due drammatiche conseguenze:
  • Disperde e mortifica le energie sane della Nazione, creando un clima di sfiducia tale per cui qualsiasi iniziativa costruttiva si deve scontrare, oltre che con le oggettive difficoltà, con il fatidico: "chi te lo fa fare? Tanto qui è tutto allo sfascio"
  • Crea un comodo alibi per indulgere in comportamenti illegali, da cui il famoso: "questa cosa non si può fare, ma tanto la fanno tutti. Sarò mica più scemo degli altri?". Lo stesso alibi serve anche a giustificare il proprio disimpegno/disinteresse verso la cosa pubblica: "Tanto siamo in ItaGlia, cosa vuoi che cambi?"
Cercare di correggere questa stortura nel comune sentire della Nazione è un compito difficilissimo, soprattutto alla luce della durata e dell'insistenza con cui il frame autorazzista viene diffuso dai più svariati orientatori dell'opinione pubblica. Ciò nonostante è assolutamente necessario uscire da questa illusione e riappropiarsi di una percezione più reale del nostro essere popolo, dei pregi e dei difetti che ci appartengono nella stessa misura in cui appartengono a tutti gli altri popoli, smettendola di ignorare i primi ed ingigantire i secondi.

Questo blog è un modesto tentativo di nuotare controcorrente, alla ricerca della sorgente che ci ha fatto e, nonostante tutto, ci fa ancora essere popolo, prima ancora che Nazione.