giovedì 28 settembre 2017

L'accordo-beffa Fincantieri - STX: C'era un cantiere, un francese e un italiano...


Che il tentativo italiano di prendere il controllo dei cantieri navali ex-STX France sarebbe finito male, lo si era capito da un pezzo. Che addirittura si sarebbe risolto in barzelletta invece era meno scontato, ma l'esecutivo del Conte di Filottrano è riuscito a regalarci anche questa sorpresa.

Ricapitoliamo brevemente i fatti:

STX Offshore & Shipbuilding è un'azienda sudcoreana che si occupa di cantieri navali. In Francia, attraverso STX France Cruise SA, controlla gli importantissimi cantieri di Saint-Nazaire, storici concorrenti dell'italiana Fincantieri. Nel 2016 la holding coreana fallisce. Entra in scena Fincantieri, che presenta al tribunale fallimentare di Seul un'offerta da 80 milioni per rilevare il 66,7% di STX France.
L'offerta viene accettata.

A questo punto Fincantieri deve solo trovare l'accordo con lo Stato francese, proprietario del 33,3% dei cantieri di Saint-Nazaire. Hollande tentenna, poi a due settimane dalle elezioni concede il via libera: agli italiani andrà il 55%. Tutti contenti e lieto fine in arrivo, tanto che il presidente di Fincantieri Giampiero Massolo dichiara: "Tutto si chiuderà nel primo semestre (del 2017 ndr), se non sarà il 30 giugno sarà a luglio, ma siamo molto confidenti".
L'avesse mai detto.

Il 14 maggio Macron vince le elezioni francesi, diventa Presidente e blocca le trattative con Fincantieri. Se i coreani potevano avere più del 66% dei cantieri francesi, per l'Europeissimo Macron gli italiani devono fermarsi al massimo al 50%.

Per una volta, di fronte a questo voltafaccia improvviso, il nostro governo prima di chinare il capo punta i piedi: il 29 luglio Calenda dichiara: ""Non c'è verso che noi accettiamo il 50% [...]. E' una questione di rispetto e di dignità" e aggiunge: "Non ci muoviamo di un millimetro". Il 31 luglio parla Pinotti: "Condivido quanto hanno detto i ministri Calenda e Padoan: l'Italia non farà un passo indietro". Ancora il 3 settembre Padoan aggiunge: "Ribadiamo che sarebbe un po' strano che un’impresa, Fincantieri, che ha acquisito i due terzi della proprietà di Stx si ritrovi a essere non in maggioranza: sarebbe difficile da giustificare".
Sì, infatti.

Dopo un'estate di trattative, la montagna ha partorito il topolino: 50% a Fincantieri e 50% ai francesi, che però saranno tanto gentili da "prestare" all'azienda italiana un 1% (per 12 anni) per avere un controllo operativo che è tale solo sulla carta, visto che può essere revocato in ogni momento qualora ai francesi non piacessero le decisioni italiane. Fincantieri - che tanto per la cronaca è azienda leader in Europa nel settore navale, non l'ultima delle Snc - dovrà sottoporsi a una continua vigilanza da parte francese, con verifiche periodiche sul rispetto degli impegni.
Quando c'è la fiducia, d'altronde, c'è tutto.

Macron ha definito l'accordo "win-win", nel senso che per la Francia è una doppia vittoria: usciti con le ossa rotte dalla subordinazione ai coreani di STX, i transalpini riacquistano i loro cantieri navali attraverso i capitali e la potenza della nostra Fincantieri, socio con un controllo solo apparente sulla controllata, visto il costante ricatto della revoca dell'1% e lo spettro incombente di futura nazionalizzazione.

martedì 26 settembre 2017

Elezioni in Germania: brevi considerazioni dopo i risultati


1. Il mito della perfezione tedesca da domenica va allegramente a puttane. Nella nazione che per anni ci è stata dipinta come onestissima (anche se...), operosissima (anche se...), accoglientissima (anche se...), improvvisamente oltre 1 cittadino su 10 si è svegliato intollerante, xenofobo e potenzialmente nazista. O siamo davanti ad un'epidemia che neanche "28 giorni dopo", oppure le cose non stavano esattamente come ci venivano raccontate.

2. Poor lives matter. Se opprimi una porzione del tuo popolo togliendole un lavoro sicuro, uno stipendio dignitoso e la possibilità di pianificare il proprio futuro questa, chissà perché, tende a ribellarsi. Ed è disposta a sostenere chiunque dia voce alla propria indignazione. Il giochino di demonizzare ogni forza antisistema non dura per sempre.

3. L'immigrazione di massa crea malessere. E' inutile distorcere le più improbabili statistiche per dipingere una santa immigrazione che fa bene all'economia e "ci paga le pensioni". Quaggiù, nel mondo reale, quando vedi che in pochi anni una via, un isolato, un intero quartiere della tua città inizia a somigliare più ad Abuja che a Potsdam, hai l'impressione che una parte di ciò che sei stia venendo spazzata via per sempre. Una società ha bisogno di tempo per assorbire senza traumi nelle sue fila individui provenienti da società diverse per abitudini, cultura, storia, lingua o religione. Un ingresso troppo precipitoso o troppo numeroso crea tensioni e malcontento.
Un eschimese può trasferirsi in Madagascar ed integrarsi senza problemi, mille eschimesi possono farlo in tempi ragionevolmente brevi, ma un milione di eschimesi che sbarcano tutti insieme in Madagascar creano senza dubbio un problema sociale.

4. La mutazione genetica dei partiti socialisti europei continua a portarli alla rovina. Dall'inizio del nuovo millennio abbiamo assistito allo sfracello dei partiti socialisti spagnolo (42,6% nel 2004, 22,6 nel 2016), greco (40,6% nel 2004, 6,28% nel 2015), francese (24,7% nel 2007, 7,4% nel 2017), olandese (21,2% nel 2006, 5,7% nel 2017), ungherese (40,3% nel 2006, 19,1% nel 2014), tedesco (38,5% nel 2002, 20,5 nel 2017).
Se nasci per difendere i lavoratori dal capitale e finisci col difendere il capitale dai lavoratori, questi prima o poi se ne accorgono.

5. Il sovranismo è tutt'altro che moribondo. Dopo l'esito delle elezioni in Austria, Olanda e soprattutto Francia, la narrazione mediatica voleva le forze sovraniste (populiste, nel loro gergo) sostanzialmente sconfitte. Ignorando clamorosamente il fatto che, seppure senza vincere, i partiti sovranisti si erano rafforzati ovunque in Europa, una sostanziosa parte dell'intellighenzia continentale aveva già archiviato la questione. E invece la sveglia è arrivata proprio dal cuore dell'Impero, da quella Germania che per virtù delle "riforme" fatte con scrupolo e della guida illuminata di "Mutti" Merkel doveva essere immune al virus.
Il sovranismo pone questioni reali che interessano da vicino la vita di milioni di persone. Tapparsi occhi e orecchie, blaterare di rigurgiti nazisti, xenofobie, muri, pance et similia è il modo più inutile e infantile di rispondere a questi problemi.

sabato 23 settembre 2017

Caos Ryanair: quando si spezza la corda liberista

Il ceo di Ryanair Michael O'Leary (ImagoE)
Lunedì scorso è iniziato il piano di soppressione di oltre 2100 voli annunciato da Ryanair. Fino a fine ottobre, la compagnia aerea irlandese cancellerà una cinquantina di voli al giorno (qui la lista completa), creando disagi per circa 400mila passeggeri.

Varie le scuse addotte per giustificare questa misura senza precedenti: la principale sarebbe un errore nel calcolo delle ore di riposo del personale a seguito di un adeguamento del calendario, ma a sentire le voci interne all'azienda e l'associazione dei piloti irlandese il vero problema sta nella fuga di un gran numero di piloti verso compagnie concorrenti. Circa 700 dall'inizio dell'anno finanziario, più altri 150 dalla scorsa primavera su un totale di circa 4000.

Che ci sia malumore nelle fila dei dipendenti Ryanair non è una novità: il modello di business della compagnia irlandese è da sempre improntato al massimo risparmio sul costo del lavoro (qui, qui e qui alcuni esempi), tuttavia la situazione in questo momento sembra più esplosiva che mai. La proposta della compagnia di un bonus di 12mila euro (da pagare tra 13 mesi) in cambio della rinuncia a parte delle ferie sarebbe già stata respinta dai lavoratori, che avanzano una serie di richieste alternative.

Così, la bella favola liberista della piccola compagnia di un piccolo paese che vince la competizione con i giganti dell'aria a suon di prezzi stracciati, permettendo di viaggiare per il mondo anche a chi non ha grandi risorse a disposizione, mostra il suo lato più oscuro: lavoratori a partita iva, pagati il minimo indispensabile e secondo le regole fiscali della nazione più conveniente per l'azienda, diritti sindacali azzerati, lettere di dimissioni che impongono il silenzio sulle condizioni di lavoro e altro ancora.

Ryanair è una delle più note aziende europee ad aver adottato sistematicamente questo modello, ma di certo non l'unica: nel nuovo millennio l'intero mondo del lavoro si è spostato sempre di più verso l'abbattimento del costo dei dipendenti come mezzo per essere più competitivi sul mercato, e le varie "riforme" del settore - tutte dello stesso stampo ideologico - chieste con forza dalla Ue e supinamente varate dai governi nazionali hanno facilitato ed accelerato questo processo.

Ma il gioco al ribasso sul costo del lavoro nasconde un prezzo che in ultima istanza supera qualsiasi vantaggio: un lavoratore che dispone di poco reddito è un consumatore che tende a spendere sempre meno, e più lavoratori a basso reddito ci sono, minori saranno i consumi. Né si può aggirare il problema inducendo i consumatori a comprare sempre più "a debito": prima o poi i debiti vanno saldati, ma con redditi sempre più risicati questo diventa impossibile.
E scoppia la crisi. Come quella da cui non ci siamo ancora risollevati