mercoledì 19 ottobre 2016

Voucher is the new black



È comprensibile, data la natura felicemente asservita del giornalismo nostrano, che tra le notizie di ieri si sia deciso di riservare la massima attenzione al viaggio americano di Renzi, con ricco contorno di servizi sul cuoco Batali in Crocs, sulle facezie di Benigni e sugli agnolotti degustati durante la cena alla Casa Bianca, senza tralasciare soddisfazione per i soliti, triti luoghi comuni con cui all'estero si è soliti carezzare l'ospite italiano (Tutta la stima del mondo per Sofia Loren, ma il presidente degli Stati Uniti dovrebbe prendere nota che anche in Italia corre l'anno del Signore 2016 e il 1966 è passato da un pezzo).

Con l'imperativo di occupare tutto lo spazio possibile con l'evento d'oltreoceano, i media hanno potuto dedicare infinitamente meno attenzione all'altra notizia di ieri, altrettanto importante per il nostro immediato futuro: la pubblicazione degli ultimi dati dell'Osservatorio INPS sul precariato.
Che sono sconfortanti.

Nel periodo gennaio-agosto 2016, rispetto agli stessi mesi dello scorso anno, questa è la situazione:

-8,5% di assunzioni in generale,
-32,9% di assunzioni a tempo indeterminato,
-35,4% di trasformazioni dei contratti da determinato a indeterminato,
+28,3% di licenziamenti «per giusta causa o giustificato motivo soggettivo»
+2,5% di contratti a tempo determinato,
+18% di contratti di apprendistato,
+35,9% di acquisti di voucher.

L'Istituto è molto chiaro nella spiegazione del tracollo delle assunzioni a tempo indeterminato: "il calo va considerato in relazione al forte incremento delle assunzioni a tempo indeterminato registrato nel 2015, anno in cui dette assunzioni potevano beneficiare dell’abbattimento integrale dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per un periodo di tre anni". Ovvero finché il doping governativo è stato in vigore, i datori di lavoro hanno approfittato del megasconto fiscale per assumere, mentre ora stanno smettendo in proporzione alla riduzione del bonus. Non solo, ma sembra anche che stiano sfruttando la maggiore tolleranza in tema di licenziamenti ottenuta con il Jobs Act per liberarsi di una quota significativa di dipendenti.

Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire, perché da tempo è chiaro come l'obiettivo di lungo termine del redivivo Ancien Régime che manovra gli esecutivi di gran parte d'Europa sia quello di arrivare ad un sistema del lavoro sempre più precario e volatile, che azzeri e seppellisca le conquiste ottenute dai lavoratori in due secoli di lotte massimizzando i profitti propri e dei propri sodali.

L'epitome della distruzione del lavoro come fonte di stabilità, dignità e benessere del lavoratore, per tornare a farne mero strumento di sussistenza, sta tutta nella vicenda dei voucher.
Nati come strumento dalla limitatissima applicabilità (l'uso era limitato a sole colf e badanti, oltre a piccoli lavoretti come ripetizioni e giardinaggio), via via l'uso dei voucher è stato esteso ad una casistica sempre più estesa, finché con l'arrivo dell'esecutivo turboliberista di Monti non è stato definitivamente sdoganato per ogni tipo di attività e settore produttivo. Ciò che era stato spacciato come piccolo espediente per far emergere un po' di lavoro nero in settori difficili e marginali in meno di 5 anni è diventato un poderoso strumento di legalizzazione dello sfruttamento a disposizione di ogni datore di lavoro (qui per approfondimenti sulla storia dei voucher).

Grazie ai voucher è possibile disporre di mano d'opera a bassissimo costo (perchè un voucher costa 10 euro ma non ha vincoli di durata della prestazione, quindi può essere usato per pagare anche 2 o 3 ore di lavoro), priva di ogni tutela prevista dai contratti (no ferie, malattia, tredicesima, maternità) e sostituibile in qualsiasi momento senza penali né indennità di disoccupazione. Il tutto rimanendo perfettamente nella legalità.

Tanto allettante è il voucher per i datori di lavoro, che la sua diffusione ha conosciuto una crescita esponenziale negli anni:


Davanti ad una esplosione così netta del fenomeno il governo ha deciso di recente di introdurre alcuni blandi correttivi, tanto per conservare una parvenza di interesse nei destini dei lavoratori; comunque sempre troppo poco rispetto all'esistenza di uno strumento che, per il solo fatto di aver creato un nuovo "Ultimo Stato" di lavoratori ancora più svantaggiati rispetto alle già penalizzate partite iva ed ai precari, andrebbe semplicemente abolito.

venerdì 7 ottobre 2016

"Volete la flessibilità sui conti pubblici? Votate populista". Ce lo chiede l'Europa.

Mais non, Piercarlò, non sc'hò più neanche un eurò!

Premessa: Personalmente, sono convinto che la "flessibilità" sui conti concessa dalla Ue sia uno strumento di controllo ancora peggiore dell'austerità. Come direbbe Chomsky la rana Italia (o Francia, o Spagna) è comunque bloccata nella pentola, e il Régime si diverte ad abbassare un po' la temperatura mentre continua comunque a bollirla. Ma visto che i massimi livelli delle nostre autorità ci dicono che è importantissimissimo chiedere, pregare, supplicare per avere la concessione di spendere questa benedetta manciata di soldi nostri, fingiamo che abbiano ragione.

Quindi l'obiettivo è ottenere la flessibilità. Impresa ardua dato che a Bruxelles sono famosi per avere braccia troppo corte per raggiungere il portafogli, ma necessaria all'esecutivo per poter distribuire qualche altro fantasioso bonus e rafforzare la campagna del "tutto va bene". Dopo intensi brainstorming, si decide di invocare la "flessibilità da emergenza" e si fa una bella lista di tutte le disgrazie che stanno affliggendo il Paese: ci si buttano dentro gli immigrati, i terremotati, le scuole da ricostruire (perchè come fai a dire di no ai bambini?), un po' di tutto insomma, e si fa in modo che le lamentazioni arrivino a Bruxelles.


Ma la notte porta consiglio, e qualche giorno dopo, lo stesso Moscovici cambia parere: "[In Italia] c’è una minaccia populista. E per questo sosteniamo gli sforzi di Renzi affinché sia un partner forte all’interno dell’Ue". (qui l'intervista originale rilasciata a Bloomberg, la domanda sull'Italia è a 10:20).

La flessibilità quindi potrebbe arrivare, ottimo... solo che non arriverà perché si ritengono fondate le richieste dell'esecutivo italiano, ma perché in Italia c'è un problema di populismo.

Se non ci fosse "una minaccia populista", l'Unione se ne fregherebbe di concedere qualsivoglia flessibilità.

Per avere la flessibilità dall'Unione, bisogna che la "minaccia populista" sia forte.

Per costringere la Ue a concedere flessibilità e un minimo di ossigeno all'economia, bisogna sostenere con ogni mezzo i partiti che la Ue considera populisti.

Più facile di così...

mercoledì 5 ottobre 2016

Allacciate le cinture di sicurezza: turbolenze in arrivo


Dopo una prima metà dell'anno a bearsi nel placido stagno di cazzate ottimisteggianti (è arrivata la ripresa! ripartono le assunzioni! L'Ue ci dà un sacco di flessibilità! Apple apre un megacentro di sviluppo a Napoli!), con solo qualche fastidiosa nuvola in lontananza (tipo la Brexit, ma tanto ora vedrai come la pagano, quegli sciocchi inglesi!), gli ultimi mesi del 2016 stanno portando un brusco risveglio e i prodromi di un 2017 che si annuncia ancora più complicato dell'anno in corso.

Il governo si trova sempre più stritolato tra ciò che vorrebbe fare (spesa pubblica per sopire il malumore crescente nel paese e riguadagnare un po' di consenso perduto) e ciò che è costretto a fare (tagli alla stessa spesa pubblica e aumenti occulti della tassazione). E si trova in questa scomodissima posizione proprio a causa dei trattati che difende a spada tratta. I famosi vincoli Ue stanno soffocando non solo l'economia, ma anche la governabilità in Italia e in molti degli altri stati membri, rendendo indigesto nel giro di pochi mesi agli occhi dei cittadini qualsiasi esecutivo. Basti pensare all'entusiasmo con cui venne accolto il governo Monti nel 2011 ed al sollievo generale seguito alle sue dimissioni meno di un anno e mezzo dopo.

La scommessa di Renzi, una volta nominato Viceré d'Italia, era quella di portare avanti rapidamente l'agenda ordoliberista programmata per tutti gli stati della Ue, ottenendone in cambio qualche scampolo di flessibilità per mantenere la propria popolarità su livelli accettabili. Niente di strano, fa parte dell'armamentario base di ogni politico una certa quota di spesa per ingraziarsi i favori degli elettori. Nei primi mesi ci era anche riuscito, ad esempio con il bonus degli 80 euro, grazie a cui aveva potuto centrare il pazzesco 40,8% delle elezioni europee 2014. E su questa scia si è continuato anche nel 2015, sfruttando ogni occasione possibile per strappare ai suoi superiori (il grumo di interessi finanziari di stanza a Bruxelles) briciole di denaro utili a mascherare il sostanziale collasso della fu quinta potenza economica mondiale.

Ma il giocattolo si sta rompendo e i bluff seminati nel tempo stanno venendo impietosamente scoperti: dalla crescita ampiamente al di sotto delle stime, ai dati sull'occupazione drogati a colpi di voucher, al sistema bancario in stato pre-fallimentare. Il tutto mentre dall'Unione arriva il messaggio che la flessibilità disponibile è terminata. E come se non bastasse a breve il risultato del referendum costituzionale potrebbe assestare il colpo di grazia al renzismo.

Se la luna di miele tra governo e Nazione è già finita, altrettanto sembra stare accadendo tra governo ed Unione, dove i tre portavoce principali dell'Ancien Régime 2.0 hanno iniziato a riservare al nostro PdC lo stesso trattamento, misto di insofferenza e spocchia, che venne riservato a Berlusconi appena prima della sua deposizione. Ed anche la stampa estera "di peso" che un tempo sosteneva il premier sembra in fase di riposizionamento. In questo contesto sfavorevole, il nostro esecutivo sta letteralmente raschiando il fondo del barile per trovare scuse con cui giustificare un minimo di spesa. Tutto, dalle ondate migratorie al terremoto nel centro Italia all'edilizia scolastica, diventa pretesto per aggirare le regole unioniste senza denunciare apertamente la loro illogicità.
Per quanto riguarda il tenere i piedi in due staffe, il buon premier non ha nulla da imparare.

Il problema è che tutta la strategia governativa è improntata al semplice comprare tempo, ma più tempo passa più la situazione diventa ingestibile: i dati sul Pil continuano a confermarsi ampiamente al di sotto delle previsioni e non possono migliorare magicamente, né l'impatto dei costi legati alla cosiddetta "accoglienza" (sia quelli economici, che quelli sociali) possono farsi meno gravosi, dal momento che il resto dei paesi Ue sta iniziando a stringere le maglie cercando di filtrare i flussi in arrivo per accogliere il necessario respingendo (ovvero lasciando a noi) il problematico e l'indesiderabile. Aggiungiamo alla ricetta il clamoroso, ma "stranamente" passato sotto silenzio mainstream, flop delle privatizzazioni ed otterremo un quadro generale desolante.

Il governo ha assolutamente bisogno almeno di un successo politico a fronte del disastro economico, e sta puntando tutte le sue carte sul referendum del 4 dicembre, mobilitando ogni risorsa a disposizione per poter portare a casa il risultato. Parallelamente però sembra essere in atto una sorta di "Piano B", che passa per lo screditamento di ogni alternativa futura (in particolare quella stellata) in modo da potersi riproporre, in perfetta logica TINA, come unico esecutore possibile del programma del Régime in Italia.

In ogni caso, la data del 4 dicembre si configura sempre più come momento chiave della vita politica nazionale, le cui ripercussioni potrebbero assestare un colpo importante anche oltreconfine, in particolare dalle parti di Bruxelles.