mercoledì 30 marzo 2016

Il terrore, le stragi, Più Europa: un'equazione che non funziona



Circa 450.

E' questo il numero delle vittime riconducibili al terrorismo di matrice islamica nell'Unione Europea nel nuovo millennio. Una serie di attentati che ha segnato quasi ogni anno dall'11 marzo 2004 - data della strage di Madrid - ai recenti fatti di Bruxelles.

Almeno 13 gli attentati, con autori, modalità e obiettivi diversi, dal semplice accoltellamento del 5 dicembre scorso a Londra, all'operazione da commando di Charlie Hebdo, all'attacco esplosivo suicida del 2005 sempre nella capitale inglese.

E questi sono all'incirca gli unici dati certi di cui disponiamo in questa vicenda. Tutto il resto, dai moventi, alle modalità di organizzazione, ai mandanti di tanto dolore, è preda di un dibattito concitato, a tratti surreale, che impegna le opinioni pubbliche di tutte le nazioni europee.

Una delle tesi più singolari eppure più popolari recita all'incirca così: gli attentati accadono perché non c'è coordinamento tra gli stati europei, bisogna creare un'intelligence unica, una procura antiterrorismo unica, un "ministero degli interni" unico, perchè a minaccia globale si può rispondere solo con una struttura investigativo/poliziesca sovranazionale. Esempi di questo ragionamento si trovano qui, qui, e qui, oltre che in quasi tutte le trasmissioni di "approfondimento" che hanno trattato il tema terrorismo nelle ultime settimane. Ovunque spunta fuori un'anima bella a ripeterci quanto siano inutili gli stati nazionali di fronte a questa minaccia, e come invece il superstato unionista sia l'unica salvezza; spesso aggiungendo che chiunque non sia d'accordo con questa tesi, TINA per eccellenza, sia quanto meno un demagogo, quando non uno sporco sciacallo pronto a speculare sulle tragedie/sangue/vittime di turno.

Più "Europa", dunque, e saremo liberi dal terrore. Ma anche dalle crisi economiche. E dalla disoccupazione. E dall'immigrazione incontrollata. E (forse) anche da siccità, maltempo ed emicrania. Non importa quale sia il problema, per questi instancabili dischi rotti la soluzione di tutto è una e una soltanto: il superstato da Lisbona a Kiev, dai fiordi di Nordkapp a Lampedusa. Come in un vecchio western di serie B, questi piazzisti vagano di media in media sui loro carrozzoni cercando di vendere ai polli di turno l'unguento miracoloso chiamato Ue. Tanto più grande è il problema / tragedia, tanto più forte la loro voce.

Peccato che l'equazione lotta al terrorismo = Superstato Ue non funzioni, e per almeno un paio di buoni motivi:

- Intanto c'è un problema di tempi: gli attentati in Europa sono iniziati 12 anni fa. So che nell'era dell'eterno presente che stiamo vivendo un concetto come 12 anni tende a sfuggire ai più, che già tra una settimana avranno archiviato come storia antica i fatti di Bruxelles, ma si tratta di 2 volte esatte l'intera durata della II guerra mondiale. E questo tempo è servito solo per prendere coscienza del problema. Quanto ci vorrebbe per unificare procedure e standard operativi della nuova superpolizia, per deciderne e formarne i quadri, per creare e diffondere un linguaggio tecnico unico che permetta di essere compresi senza margini di errore dalla Polonia all'Olanda, dall'Irlanda alla Grecia? E quanto per uniformare i vari sistemi giudiziari delle nazioni europee, per evitare rallentamenti e intralci dovuti all'ignoranza del sistema di leggi in vigore in un singolo stato da parte degli agenti di un altro? Possiamo permetterci di distogliere le risorse delle intelligence e delle polizie nazionali dalla lotta al terrorismo oggi, per destinarle a creare un pachiderma pancontinentale che dovrà proteggerci dopodomani? Se vogliamo risposte in tempi decenti, è evidente che la soluzione migliore è lasciare che ogni stato combatta il terrorismo secondo i suoi standard e le sue leggi, cercando al limite di aumentare la condivisione delle informazioni interstatali.
Cosa che non dovrebbe essere complicata visto che già dal 1923 esiste l'organizzazione nota come Interpol, cui aderiscono tutti gli stati della Ue, e dal 1999 c'è anche l'Europol.

- Il secondo motivo per cui il superstato Ue non c'entra niente con la lotta al terrorismo porta il nome di Stati Uniti d'America. Sogno proibito di tutti gli europeisti (i tanto agognati - da loro - Stati Uniti d'Europa), gli USA hanno 240 anni di storia unitaria ed esattamente il tipo di struttura che si vorrebbe anche qui da noi, con leggi federali in vigore in tutti gli stati membri, un Ministro dell'Interno unico (Segretario della Sicurezza Interna) e l'FBI, ente di polizia centrale con l'incarico "di proteggere gli Stati Uniti dal terrorismo e da altre minacce esterne, mantenere e applicare le leggi, fornire una guida e i servizi per la giustizia penale alle altre agenzie federali, statali, municipali o internazionali" [fonte: Wikipedia].
Eppure gli Stati Uniti subiscono attentati tanto quanto i piccoli Stati Nazione europei: scorrendo questa lista si contano 20 attentati di matrice estremista islamica sul suolo americano a partire dal 1972, più una quantità di attacchi di altra origine. Tutti andati a segno. Alla luce dell'esperienza statunitense, l'inconsistenza della tesi europeista in tema di difesa dal terrorismo è lampante.

O davvero i piazzisti dell'europeismo sono convinti di riuscire a mettere in piedi una FBI europea più efficiente di quella USA in una manciata di mesi?


sabato 12 marzo 2016

Gli Unti dall'Unione

La Dea Atena dona l'olivo ai greci, riproduzione su una moneta da 100 lire. La nostra moneta non esiste più, ora anche l'olio italiano sta per essere distrutto?

Ci risiamo.
Ancora una volta la simpatica Unione europea ci fa omaggio di un provvedimento che penalizza palesemente la nostra economia ed i nostri interessi nazionali, e ancora una volta lo fa con l'appoggio scriteriato di un manipolo di funzionari ed europarlamentari in teoria nostri compatrioti.

Tra quest'anno ed il 2017, la Ue ha deciso di importare a dazio zero 70.000 tonnellate di olio in più dalla Tunisia. Si tratta di una quantità imponente, pari ad un terzo della nostra produzione nazionale, che rischia di mettere in ginocchio un'impresa italiana su 3, stando ai dati diffusi da Coldiretti. Già lo scorso anno abbiamo vissuto una vera inondazione di olio tunisino, con un +481% di importazioni che ha avuto come conseguenza un numero quadruplicato di frodi nel settore di oli e grassi e un numero imprecisato di fallimenti nelle aziende del settore.

La versione ufficiale che giustifica questo attacco inaudito all'agricoltura italiana (perchè di questo si tratta, visto il ruolo leader di produttori/consumatori che abbiamo nel settore) parla di un aiuto alla Tunisia per tamponare le perdite del settore turistico dopo l'attentato del 2015 al museo del Bardo. Nulla in contrario sull'aiutare uno dei pochissimi paesi della sponda sud del Mediterraneo non in preda al caos, ma era proprio necessario farlo sulla pelle degli olivocoltori italiani?

Non avrebbe potuto la Ue stanziare semplicemente una certa somma da donare alla Tunisia, come sta facendo con la Turchia per la gestione degli immigrati? Oppure scegliere un altro settore (o più settori diversi) cui destinare gli aiuti? Tutto sommato, l'agricoltura copre appena il 9,9% del Pil tunisino, contro il 29% dell'industria e il 61.2% dei servizi (Fonte: Cia World Factbook).

Ma no, la Tunisia deve incrementare la produzione di olio e lo deve vendere in Europa senza alcun dazio! Chi se ne frega se i paesi europei produttori di olio siano, guarda caso, gli stessi già massacrati dall'unione monetaria e dall'austerità, ancora in gravissima difficoltà e perennemente sotto ispezione da parte di Bruxelles. Chi se ne frega se proprio l'olivocoltura in Italia stia già subendo la concorrenza intra-Ue da parte della produzione spagnola e greca, di qualità inferiore ma più conveniente, e abbia visto un calo di produzione di circa 100mila tonnellate rispetto alla media storica. Soprattutto, chi se ne frega se non più tardi dello scorso maggio la Commissione emanava questo provvedimento, con il quale si imponeva brutalmente la distruzione di migliaia di olivi pugliesi per fermare l'infezione da Xylella fastidiosa, scartando a priori le altre possibilità di risoluzione del problema.

Tuttavia la cosa più imperdonabile in questa già gravissima vicenda è il ruolo di alcuni rappresentanti italiani presso gli organi Ue, che hanno deciso di sostenere lo scellerato provvedimento fregandosene delle ripercussioni che avrebbe avuto sul futuro dei propri connazionali. Nella tradizione del peggior collaborazionismo, individui di questo genere lavorano contro gli interessi degli stessi cittadini che li hanno eletti, dimostrando un cinismo becero al punto da ammantarsi perfino di presunte buone motivazioni, come l'aiuto ad un paese in difficoltà, per nascondere la volontà di piegare il proprio stesso popolo alla logica della più spietata concorrenza. Sicuri, in cuor loro, di ritagliarsi in questo modo uno strapuntino ai piedi dell'élite che conta, dove poter continuare a godere degli stessi privilegi che impediscono agli altri. 

Come quello di consumare olio extravergine di qualità e non un miscuglio di oli scadenti provenienti da chissà dove.

mercoledì 9 marzo 2016

Brexit: chi ha paura della Libertà?


Come noto, il 23 giugno prossimo il Regno Unito deciderà, tramite referendum, se rimanere o no all'interno dell'Unione Europea. E' il famoso Brexit che tanto agita i sonni di molti, dentro e fuori dal perimetro dell'Unione. La portata del risultato referendario infatti andrà sicuramente molto al di là dei confini britannici, e potrebbe rappresentare l'ennesima picconata alla sempre più instabile costruzione unionista.

Al contrario di un altro referendum, quello greco dello scorso anno, stavolta è chiamato a votare un popolo toccato ma non piegato dalla crisi del 2008, che vive in una nazione dalle grandi risorse industriali e, soprattutto, libera dal giogo della moneta unica. Quindi meno soggetta ai ricatti economici e finanziari tanto utili a mantenere in riga gli Stati più svantaggiati dall'appartenenza alla Ue, già da tempo "simpaticamente" definiti Piigs (porci), tanto per rimarcare il ruolo assegnato loro nella nuova casa comune.

Dei due schieramenti che si stanno delineando, quello dei no-brexit è estremamente significativo della natura delle forze in campo: a tuonare contro l'uscita è principalmente il mondo della finanza, dal colosso delle società di investimento BlackRock fino alle sempre presenti Goldman Sachs e Morgan Stanley, passando per una pletora di multinazionali di vari settori fino al Governatore della Banca d'Inghilterra Carney (che si nasconde dietro l'ipocrita paravento del "parere tecnico") solo per citare alcuni esempi. Il tono è quasi sempre apocalittico, con scenari di devastazione, crolli della moneta e del Pil, decenni di crescita azzerati, locuste e stragi di primogeniti. Ma non è chiaro se questo pessimismo riguardi le sorti del popolo inglese o piuttosto gli interessi di queste stesse società.

Il mondo della finanza sembra non tollerare due cose sopra tutto: le svalutazioni monetarie e i confini nazionali. Il cieco sostegno al progetto della Ue, nonostante gli evidenti danni che sta apportando a gran parte delle popolazioni che ne fanno parte, è dovuto proprio al fatto che la Ue attraverso l'euro garantisce stabilità nei cambi e concorrenza selvaggia in una delle zone più ricche del mondo. La possibilità di vendere liberamente merci e servizi in un'area tanto vasta speculando sul diverso costo del lavoro e sulla diversa tassazione vigente a parità di cambio è troppo ghiotta per vederla svanire o anche solo traballare come accadrebbe in caso di uscita del Regno Unito, che del progetto fa parte solo parzialmente, non avendo mai adottato l'euro.

Da qui nasce la campagna di terrore ribattezzata Project Fear, un poderoso sforzo volto a condizionare l'opinione pubblica attraverso la paura (e poi sarebbero i populisti a parlare alla pancia delle persone!). Paura di perdere il lavoro, di non poter più visitare il resto d'Europa, di essere invasi da orde di immigrati, di essere più esposti al terrorismo.

Ogni leva viene mossa in modo spregiudicato: se gli inglesi non vogliono rimanere nell'Unione per amore, dovranno desiderare di rimanere per il terrore dell'alternativa.

Niente male per un progetto che qualcuno ha ancora il coraggio di definire "sogno europeo".