venerdì 21 agosto 2015

Di caporalato, riforma del lavoro e altri piccoli orrori

Fantastico come in questo periodo di turbolente trasformazioni sociali capiti spesso di imbattersi in macroscopici controsensi sbattuti in faccia all'opinione pubblica come se niente fosse. Quasi si trattasse di verifiche sul grado di assuefazione dei cittadini ad una "informazione" da consumare sempre più velocemente, sopprimendo le capacità di ragionamento e collegamento tra i fatti e puntando tutto su rapide risposte emotive, per lo più di indignazione, da spostare di volta in volta sul tema ritenuto più utile.

Ad esempio aprendo la home page de La Repubblica di ieri ci si trovava davanti a questo:


Guardate con attenzione questa schermata; al netto della fuffa da giornale di fine agosto le notizie principali sono tre:

- Le dichiarazioni del ministro dell'agricoltura Martina sul caporalato;
- Le parole del Papa e quelle del Vescovo di Melfi sul lavoro;
- Un commento di Marco Lodoli sulle implicazioni della riforma della scuola per gli insegnanti.

Tre notizie sul lavoro, tre notizie che manifestano una contraddizione mastodontica.

Da un lato abbiamo le dichiarazioni di un esponente del governo che si impegna a contrastare forme di lavoro inique e illegali, dall'altro abbiamo non uno, ma ben tre esempi delle conseguenze nefaste della filosofia del lavoro sostenuta dallo stesso governo!

Non è un mistero che con il Jobs Act questo governo, in linea con i due che l'hanno preceduto e con quanto sta accadendo un po' ovunque nella Ue, stia smantellando sistematicamente gran parte dei diritti conquistati dai lavoratori in decenni di lotte, facendo prevalere sempre e comunque le necessità della produzione rispetto a quelle dei lavoratori nel tragico tentativo di abbassare il costo dei prodotti comprimendo all'estremo la quota salari. Così con un colpo di penna il lavoro a tempo indeterminato è stato sostituito dal lavoro "a tutele crescenti", il che vuol dire precariato a vita per la stragrande maggioranza dei nuovi assunti e meno contributi da versare per gli imprenditori. Inoltre si sta lavorando per demolire l'istituto della contrattazione collettiva ripristinando i contratti aziendali in un bel revival del 19° secolo.

E non mancano inquietanti iniziative-spot da parte del mondo industriale, come quella di far lavorare i dipendenti di domenica o di ferragosto (magari in fabbriche i cui amministratori fino a poche settimane prima si stracciavano le vesti gridando all'imminente chiusura). Insomma tutto pur di far tornare indietro le lancette della storia ad un'epoca in cui il potere contrattuale dei dipendenti era pressoché nullo, così come le loro tutele.

Come può un governo attivamente impegnato a cancellare le principali conquiste ottenute dai lavoratori, ciecamente convinto che l'unica chiave per la crescita sia seguire il "modello tedesco" di compressione dei consumi interni e aggressione dei mercati esteri, combattere seriamente un fenomeno odioso come quello del caporalato?

Semplicemente, non può. Perchè il caporalato fa parte integrante del modello di società verso cui ci stiamo dirigendo.

Con buona pace del Papa e del vescovo di Melfi, quando si insegue con tanta tenacia il mito della produttività a discapito dei lavoratori, quando ci si accanisce con balzelli di ogni tipo sul piccolo risparmio delle famiglie, quando si incoraggia lo stanziamento in massa di potenziale manodopera disposta a lavorare per una frazione del compenso richiesto dalla manodopera residente, quando non si riesce a comprendere la differenza tra volontariato e sfruttamento, non si ha più diritto a stupirsi né tantomeno ad indignarsi se qualche criminale decide di portare alle estreme conseguenze il modello di lavoro promosso nella società riportando alla luce un fenomeno che sembrava sepolto decenni fa.

mercoledì 5 agosto 2015

La questione greca vista dai tedeschi. Quegli altri.

Condivido di seguito la puntata del 31 marzo scorso del programma satirico tedesco "Die Anstalt", dedicata alla questione greca:


Nonostante un grave errore nell'individuare la causa dei problemi denunciati (il messaggio della trasmissione è di forte critica all'austerità, ma dimentica completamente l'€uro che ne è il padre), vale la pena comunque guardare il video per ricordare che quando parliamo di Germania, Grecia o Olanda non dobbiamo mai cadere nella trappola di prendercela con il popolo tedesco, greco o olandese.

Il gioco di fomentare rancori contrapposti tra nord Europa "virtuoso" e sud Europa "vizioso", la facile semplificazione in tedeschi avidi e greci spendaccioni, fa esattamente il gioco delle élite €uriste e fornisce alle rispettive opinioni pubbliche un comodo falso bersaglio contro cui scagliarsi. E' vero, in Germania ci sono migliaia di persone convinte di stare facendo beneficenza ai greci con il loro denaro, ma ce ne sono molte altre che sanno che le cose non stanno esattamente così. Allo stesso modo in Grecia alcuni ormai vedono un pericoloso nazista in qualsiasi turista tedesco, ma molti altri sono a conoscenza dei danni subiti dal popolo tedesco per mano dei suoi stessi governanti tramite le tanto decantate riforme.

Mentre ciarlano continuamente di unione nata per la pace e di fratellanza continentale, l'Ancien Régime che guida le sorti della Ue e il suo codazzo di agit-prop fanno di tutto per aizzare un popolo contro l'altro, poi puntano il ditino scandalizzati e dicono: "Vedete? il problema sono i nazionalismi! Ci vuole più Europa per finirla con queste liti!". Ma la loro concezione di più Europa, l'abbiamo imparato in Grecia, significa meno libertà per i popoli europei di decidere il proprio destino, un intero continente soggetto a leggi e regolamenti tagliati su misura dei grandi interessi privati e sottratto alla sovranità popolare tramite lo svuotamento sistematico delle istituzioni democratiche e delle garanzie costituzionali, l'estinzione programmata della classe piccolo-medio borghese che è storicamente motore di ogni grande sommovimento sociale.


La battaglia contro l'incubo unionista non può e non deve essere condotta sul piano orizzontale, tra le nazioni europee, ma sul piano verticale, per le nazioni europee. Solo il mutuo riconoscimento all'indipendenza ed alla specificità tra i popoli d'Europa potrà contrastare efficacemente un regime tecnocratico, apolide e attivamente impegnato nella distruzione delle identità storiche e culturali dei popoli che governa come quello dell'unione.