sabato 25 novembre 2017

Violenza sulle donne e autorazzismo, storia di uno spregevole sfruttamento


Fossi donna, oggi sarei decisamente incazzata.

A leggere alcuni giornali, a consultare alcuni siti internet di informazione, mi sentirei sfruttata, privata persino del diritto di essere riconosciuta come vittima quando sono tale, trattata come mera merce emozionale per veicolare un messaggio di propaganda che niente ha a che fare con me o con le altre donne. 

Perché?

Lo scorso 22 novembre il Ministero della Giustizia ha presentato uno studio statistico intitolato "Femminicidio in Italia - Inchiesta statistica (2010 al 2016)", a cura del direttore generale di statistica del Ministero della Giustizia, Fabio Bartolomeo.

Lo studio, consultabile qui, parte dalla lettura di oltre 400 sentenze di omicidio di donne dal 2012 al 2016 e cerca di delineare l'incidenza statistica del fenomeno noto come "femminicidio" rispetto ad altri omicidi con vittime donne.

I dati che emergono dal lavoro del Ministero sono interessanti e meritano sicuramente un'attenta riflessione, soprattutto in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

Peccato che alcuni media li stiano distorcendo in modo ignobile per inculcare nella testa dei lettori un altro messaggio, che nulla ha a che fare con questo serissimo tema. Ciò che sembra premere loro è la criminalizzazione degli italiani. Un volgare attacco autorazzista che strumentalizza cinicamente per mera propaganda le tragiche sorti delle donne assassinate negli ultimi anni e porta a titoli del genere:






Bello vero? Di tutte le riflessioni e le statistiche presentate nelle sette pagine del documento, si decide arbitrariamente di porre l'enfasi su un solo dato: quanti italiani sono colpevoli di questo odioso reato. L'obiettivo biecamente cercato è instillare nella nostra memoria la facile equazione italiani = assassini di donne. Con l'aggravante che, in questo caso, il dato sbattuto in prima pagina è palesemente falsato.

Partiamo dalle percentuali fornite dal Ministero: su 355 omicidi di donne commessi nel periodo in esame e catalogati come "femminicidi", il 74,5% ha un colpevole italiano e il 25,5% straniero. Impressionante, non fosse per il dettaglio che dei due gruppi uno (gli italiani) compone il 90% circa del totale, l'altro (gli stranieri) solo il 10%.

In Italia, infatti, risiedono circa 56 milioni di italiani e 5 milioni di stranieri (fonte: Istat). I due gruppi, secondo il documento del Ministero della Giustizia, sono responsabili rispettivamente di 264 e 91 omicidi di donne, e questo significa che la propensione al "femminicidio" tra gli italiani è dello 0,0005%, mentre tra gli stranieri è dello 0,0018%.

Finché anche la matematica non sarà piegata al politicamente corretto, 18 rimane maggiore di 5, perciò la propensione al femminicidio tra gli stranieri è quasi 4 volte maggiore che tra gli italiani.

E questo, non la fuffa razzista anti italiana finita su certi titoli, è un dato vero al punto che lo stesso documento del Ministero, nel commentare la nazionalità dei colpevoli di femminicidio, correttamente sottolinea la "marcata incidenza del fenomeno tra gli stranieri presenti nel nostro paese" (pagina 4).

In questa giornata di impegno e informazione spero che le donne veramente libere facciano sentire forte la loro voce anche contro questi vergognosi tentativi di usare le loro paure, le loro sofferenze, le loro stesse morti per misera propaganda. Il cammino della libertà e dell'emancipazione non può non passare attraverso la verità.

mercoledì 15 novembre 2017

Ennesima lettera di richiamo all'Italia: "pizzino" Ue per il governo che verrà?


Tra una manciata di mesi, si sa, gli italiani saranno chiamati al voto per il rinnovo delle Camere. E le probabilità che dalle urne scaturisca una maggioranza meno supina delle ultime rispetto ai diktat dell'Unione Europea, stando ai risultati delle votazioni dallo scorso dicembre in poi, non sono trascurabili.

La ridotta unionista nostrana sta facendo di tutto per cercare di arginare la sconfitta, soprattutto con una incessante campagna mediatica che ripete all'infinito il consolidamento di una presunta "ripresa" che, pur presente in alcuni limitati dati statistici, è impalpabile nel paese reale. Il poco di allentamento di briglie che ci è stato concesso dopo le iniezioni venefiche del governo tecnico - sprecato in sterili bonus - sta per giungere a termine, e Bruxelles non sembra disposta a transigere ulteriormente sul programma di distruzione del modello economico e sociale che ha in serbo per la nostra nazione.

Occorre "fare le riforme", tutte le riforme, senza obiezioni o tentennamenti, a prescindere dalla volontà degli elettori e dal colore del nuovo esecutivo. Potrebbe essere questo il motivo per cui ieri è trapelata la notizia dell'invio da parte della Commissione Ue di una lettera di richiesta di chiarimenti riguardanti il bilancio per il 2018. La lettera, che dovrebbe arrivare il prossimo 22 novembre, chiederà impegni precisi riguardo la riduzione del deficit, ma il giudizio definitivo sarà emanato solo nel maggio 2018, quando a Palazzo Chigi dovrebbe essersi già insediato il nuovo esecutivo.

Se fino a qualche tempo fa l'atteggiamento degli eurocrati sembrava più conciliante, con concessioni di flessibilità al fine di scongiurare l'avanzata dei "populisti", ora la musica è cambiata: le dichiarazioni del vicepresidente della Commissione Jyrki Katainen sul reale stato della situazione italiana non lasciano presagire niente di buono.

L'ex premier finlandese parla a nuora perché suocera intenda: il vero bersaglio non sembra tanto questo esecutivo - spudoratamente filounionista - quanto il prossimo, che potrebbe trovarsi da subito davanti ad uno scomodo bivio: effettuare una manovra aggiuntiva (nuove tasse e nuovi tagli, quindi ulteriore contrazione del Pil) per accontentare Bruxelles o incorrere nella probabile procedura di infrazione.

Le nuove richieste di Bruxelles, assieme alla pesante eredità delle clausole di salvaguardia da disinnescare (12,5 miliardi per bloccare l'aumento Iva e accise nel 2019) ed alla prossima probabilissima crisi bancaria provocata dalle nuove regole Bce sugli Npl, sono sufficienti a condizionare fin dal primo giorno l'indipendenza di qualsiasi futuro governo costringendolo su un binario obbligato. Quello di ieri è solo un avvertimento, un "pizzino" per ribadire che Roma non ha né avrà in futuro alcuna autonomia sulle proprie politiche economiche e fiscali.

C'è una sola linea da seguire, e viene decisa a Bruxelles.

giovedì 9 novembre 2017

Multa Paucis 4


Anche in questo piccolo blog, "ignorante" per definizione in quanto sovranista e populista, nel lontano 2014 era nato il sospetto che le privatizzazioni fossero, più che virtuosi e austerissimi provvedimenti per abbattere il debito pubblico, colossali fregature che sarebbero costate allo Stato (noi) più di quanto avrebbero fatto risparmiare.

Con soli 3 anni e mezzo di ritardo ci sono arrivati anche a La Repubblica.

Meglio tardi che mai?