domenica 11 febbraio 2018

Verso le elezioni 2018: la triplice strategia PD


Tra una ventina di giorni l'Italia sarà chiamata alle elezioni. L'esito di questo voto potrebbe avere un enorme impatto a livello internazionale, paragonabile nelle ricadute ad accadimenti come la Brexit o l'elezione di Trump negli Usa. Se il referendum del 4 dicembre 2016 segnò un'importante battuta d'arresto nel processo di svuotamento della sovranità nazionale, il voto del 4 marzo 2018 potrebbe segnare l'inizio del processo di smantellamento dell'organismo sovranazionale, acostituzionale, tecnocratico e ultraliberista chiamato Unione Europea.

Naturalmente il complesso di interessi economici che ha disegnato, voluto e imposto questa entità sta facendo di tutto per garantirne la sopravvivenza, ma a differenza dell'ultima tornata elettorale, stavolta c'è una possibilità concreta di avere nelle aule parlamentari una numerosa rappresentanza delle posizioni sovraniste a guidare l'opposizione o addirittura a governare il cambiamento dai banchi del Governo.

Sul fronte opposto a quello dell'interesse nazionale sono posizionate in maniera più o meno dichiarata numerose forze politiche, in primis il Partito Democratico, chiamato al difficile compito di evitare un tracollo in stile Partito Socialista francese (o spagnolo, o tedesco, o greco, o olandese) per poter formare dopo il voto una qualsiasi grosse koalition finalizzata a prolungare la vita dell'Unione e l'agonia d'Italia.

Triplice la strategia che il fu Partitone sembra voler adottare per garantirsi almeno la quota minima  (20%) necessaria ad un ruolo da comprimario nella prossima legislatura:

Pd1 - Il partito AL Governo
Questa strategia è rappresentata per eccellenza dal premier-conte Gentiloni. Il messaggio veicolato è semplice: il Pd ha permesso la ripresa economica, guidando l'Italia nella giusta direzione. Vi abbiamo portati fuori dal tunnel, la crisi è finita, bla bla bla... in un profluvio di pacche sulle spalle autocelebrative.
Bello, peccato che gli indicatori positivi - pur presenti qua e là - siano per la massima parte effetto della ripresa globale e del Quantitative Easing di Draghi, che per inerzia hanno trascinato anche noi fuori dalle secche di un palmo. Tanto è vero che la nostra "ripresa" è iniziata molto dopo quella degli altri e ci vede tuttora ultimi tra i 27 paesi Ue, diciassettesimi tra i paesi del G20 e unica Nazione del G20 a non aver ancora recuperato il livello di Pil precedente alla crisi. Bel risultato per un partito che dal 2007 (scoppio della crisi subprime) è stato SEI ANNI in maggioranza o al Governo.

Pd2 - Il partito DI Governo
L'attuale posizione di Renzi. Dopo essere stato rottamatore, premier "del fare" (qualunque cosa significasse), aspirante riscrittore della Costituzione, pasdaran europeista ed antieuropeista wannabe, Matteo da Rignano si reinventa novello Mitterrand e propone un'immagine di sé e del suo partito improntata alla pacatezza dei toni, alle buone maniere di stile più squisitamente democristiano. Il messaggio a grandi linee è: "Gli altri urlano, vogliono cambiare tutto, stravolgere le cose. Noi no. Noi siamo seri. Noi vi lasceremo al vostro piccolo mondo, governeremo senza disturbarvi, poco a poco, piano piano". I destinatari di questa strategia di comunicazione sembrano essere due: sia il famoso "voto moderato", da sempre sogno proibito di Renzi, sia i padroni del vapore che controllano la Ue. Questi temono le Nazioni sovrane sopra ogni cosa, e per anni hanno sostenuto apertamente il Pd al fine di tenere sotto controllo l'Italia, ma in caso di crollo piddino dopo il voto potrebbero trovare nuovi maggiordomi altrove, magari sponsorizzando un'operazione in stile En Marche con qualche giovane ministro uscente nel ruolo del Macron de noantri.

Pd3 - Il partito di LOTTA
I ministri Delrio e Orlando sembrano i più convinti portavoce di questa strategia, che non mira a guadagnare nuovi voti, quanto piuttosto a serrare i ranghi del proprio elettorato soffiando sulla paura del sempre utile "pericolo fascista". Questa incarnazione del Pd parla alla pancia dell'elettorato, agita fantasmi, dipinge minacce e cerca in ogni modo di trascinare ai seggi gli elettori Pd disillusi o apertamente scontenti, non in nome dei risultati di governo (come il Pd1) né per la veste moderata e istituzionale (come il Pd2), ma come atto di fede di una crociata contro il "Male".
L'obiettivo è coprire in modo facile e gratuito (i diritti del lavoro costano, lo Stato sociale anche, le dichiarazioni di antifascismo no) il fronte sinistro contro la concorrenza del Pd di riserva (LeU) e delle forze più radicali.

Se la strategia Pd1 è tutto sommato di prassi per le forze politiche di governo che si presentano alle elezioni, e quella Pd2 segnala una certa preoccupazione per i risultati del voto, è il ricorso sempre più massiccio alla strategia Pd3 che fa da cartina tornasole alla disperazione che aleggia a Via del Nazareno. Come se ormai fosse data per persa ogni possibilità futura di contare qualcosa e ci si preparasse da subito ad una durissima resa dei conti interna.

Cosa di cui l'Italia non può che essere lieta.

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