mercoledì 1 giugno 2016

L'etichetta d'origine per il latte e il surreale entusiasmo di Coldiretti


Oggi è il World Milk Day, ennesima ricorrenza farlocca creata ad arte (dalla Fao, in questo caso) per dare in pasto ai giornali qualcosa da scrivere e un contentino a qualche ong. Avrei volentierissimo ignorato questa "Giornata mondiale", non fosse che proprio ieri il nostro ineffabile premier, accompagnato dal ministro alle Politiche Agricole Martina, ha annunciato con la sua proverbiale modestia il raggiungimento dell'ennesima "tappa storica": un decreto che introduce l'obbligo di indicazione d'origine sulle etichette dei prodotti lattiero caseari italiani.

Grande festa tra i 5000 rappresentanti di Coldiretti radunati a Milano, e dichiarazioni entusiastiche da parte del presidente Roberto Moncalvo: "un risultato storico per allevatori e consumatori, che nella metà dei casi sono disposti a pagare il vero Made in Italy alimentare fino al 20% in più ma c’è addirittura un 12% che è pronto a spendere ancora di più pur di avere la garanzia dell’origine nazionale".

Quindi siamo davvero ad una svolta per un settore in enorme difficoltà?
No. E vediamo perché.

Intanto il meraviglioso decreto è stato firmato, ma ha bisogno del via libera da parte della Ue, che da brava istituzione turboliberista ha sempre ostacolato queste iniziative. "In più occasioni - scrive il Sole 24 Ore - proposte di indicare nell’etichetta dei prodotti finiti l’origine delle materie prime è stato visto dai tecnici di Bruxelles come lesivo della concorrenza e della libera circolazione delle merci". Il rischio di uno stop unionista c'è ed è concreto.

Coldiretti è convinta di poter vendere i prodotti lattiero caseari "d.o.c." ad un 20% in più rispetto alla media, ma non è chiaro quale sia il mercato di riferimento: non quello nazionale, in calo costante da anni (-220 milioni di litri nel periodo 2011-15) e impantanato in una situazione di stagnazione/deflazione per cui appare improbabile piazzare un prodotto di massa rincarato del 20% ed avere successo.

Rimane il mercato estero, dove il Made in Italy alimentare è forte al punto da aver creato il fenomeno dell'italian sounding. Proprio in questo senso sembra andare il gigante del latte Granarolo, la cui ricetta, enunciata dal presidente Gianpiero Calzolari, è "una politica di allineamento tra produzione e trasformazione con grande attenzione all'export". Ovvero una produzione limitata e di qualità garantita da vendere sui mercati esteri più importanti.
una propria politica di allineamento tra produzione e trasformazione con grande attenzione all’export - See more at: http://www.foodweb.it/2016/05/granarolo-sul-latte-serve-forte-politica-europea/#sthash.g10tcsC8.dpuf

E il mercato interno? sembra dato per perso, dovremo rassegnarci a mangiare prodotti di costo inferiore, adatti a tasche sempre più prosciugate ma realizzati con latte polacco, romeno, tedesco o addirittura cinese, mentre il nostro latte andrà a finire sulle tavole di tutto il mondo. Tranne che sulla nostra.
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