venerdì 24 marzo 2017

25 marzo, il triste anniversario dei Trattati di Roma


Domani Roma assisterà alla cerimonia per i 60 anni dei trattati costitutivi la Comunità Economica Europea, prima incarnazione dell'attuale Unione Europea. Quel lunedì di 60 anni fa i ministri degli esteri di Italia, Germania, Francia, Olanda, Lussemburgo e Belgio firmarono il nucleo centrale di impegni attorno a cui si sviluppò prima la Cee, poi la Ue.

Si trattava di nazioni uscite a pezzi dalla guerra, la cui influenza a livello mondiale era appena tracollata a vantaggio delle nuove superpotenze nucleari; nazioni spaventate dalla minaccia sovietica che premeva sui confini orientali e nel caso tedesco occupava direttamente mezzo stato, compresa parte della capitale Berlino.

In quel contesto, e con la benedizione americana, presero forza tra le élite delle principali nazioni europee alcune teorie sviluppatesi negli anni precedenti, come il progetto Paneuropa del conte Kalergi, il pensiero di Jean Monnet ed il Manifesto di Ventotene di Spinelli e Rossi. Si trattava di teorie che individuavano nel nazionalismo la causa prima dei conflitti che avevano dilaniato il continente e proponevano l'istituzione di un organismo sovranazionale che imponesse politiche comuni riducendo progressivamente la sovranità degli stati nazionali, per culminare in qualcosa di simile agli Usa. Alla base di tutte queste teorie, in misura più o meno evidente, c'era la necessità di ignorare o coercere la volontà popolare, vista come un intralcio rispetto al "sogno europeo".

A 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma, a 24 dalla costituzione dell'Unione Europea ed a 18 dall'introduzione dell'euro, ci si prepara ad una celebrazione che ha poco della festa e molto dell'epitaffio. I sostenitori dell'Unione non hanno argomenti seri da portare a sostegno delle loro posizioni, e sono costretti a spacciare per successi robe che con la Ue non hanno niente a che fare (come i famosi 60 anni di pace) o fenomeni completamente marginali come l'Erasmus, che interessa circa 100.000 studenti all'anno su oltre 16 milioni. Anche i più convinti unionisti ormai sono costretti a parlare di "revisione dei trattati" e "rinnovamento del progetto Ue", ammettendo indirettametne il fallimento di quello in essere.

Sul piano economico l'area euro è un disastro non solo rispetto alle nazioni con cui pretenderebbe di competere, ma anche ai paesi Ue che non hanno adottato la moneta unica; il tasso di disoccupazione è quasi al doppio sia degli Usa che di paesi considerati meno sviluppati come la Russia e la moneta unica ha fallito anche nel compito in cui si diceva sarebbe stata più forte: proteggerci dalla svalutazione.

Sul piano politico, parallelamente all'ampliamento dell'Unione, si è fatta sempre più evidente la sostanziale incompatibilità degli interessi nazionali degli stati membri. I casi della guerra contro Gheddafi, delle sanzioni alla Russia e dell'atteggiamento nei confronti dell'immigrazione sono esempi evidenti di come gli interessi di una parte dell'Unione danneggino direttamente quelli delle altre. Tanta è la distanza tra i membri dell'Unione che persino la dichiarazione ufficiale di domani sarà fortemente annacquata rispetto alle intenzioni iniziali, e si ridurrà ad un generico elenco d'intenti e belle speranze.

Perfino sul piano culturale l'Unione è assente ingiustificata, essendo stata incapace di produrre alcunché di apprezzabile se non la pigra adozione dei precetti del politicamente corretto originati oltreoceano. Per citare una recentissima intervista a Michel Houellebecq, "Oggi c’è molta meno cultura europea di quanta ce ne fosse un tempo. [...] A fine Settecento I dolori del giovane Werther elettrizzavano l’Europa intera. [Oggi] Esiste una cultura locale legata al singolo Paese e una cultura globale anglosassone".

Ma il danno più grande l'Unione lo sta provocando proprio al concetto di Europa con cui si è arbitrariamente identificata. Il tentativo di calare forzatamente in una stessa gabbia di regole e vincoli popoli senz'altro apparentati, ma comunque diversi per lingua, storia, cultura, leggi, economia, abitudini, tradizioni e religioni sta provocando rancori incrociati molto pericolosi: basta leggere le sconcertanti dichiarazioni del presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem (non il primo che passa, insomma) per capire quanto poco i popoli del nord si fidino di quelli del sud (amabilmente definiti "porci" qualche tempo fa), mentre tra i popoli del sud monta l'insofferenza per le rigidità insostenibili imposte dal nord. Stesso discorso si può fare tra est (il famigerato gruppo Visegrád) e ovest.

Alla luce di tutto ciò, il miglior augurio che si possa fare domani ai popoli europei è quello di lasciarsi alle spalle quanto prima questa pagina sbagliata della loro storia, per indirizzarsi su una autentica collaborazione tra stati nazionali sovrani e liberi di perseguire il proprio benessere nel rispetto della storia, delle abitudini, delle economie e delle volontà di ciascuno.

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