martedì 25 aprile 2017

Alitalia: ora il Governo ha il dovere di intervenire


Immaginate se in un derby di calcio una delle due squadre decidesse di affidare la propria porta ad un portiere tesserato con la squadra avversaria: sarebbe assurdo, vero?

Ecco. Questo è esattamente ciò che potrebbe accadere se il governo insistesse nell'ottuso rifiuto di rilanciare Alitalia con un intervento diretto.

Facciamo un passo indietro: dopo una lunga e travagliata crisi, di cui potete leggere i dettagli qui, il 24 aprile scorso il destino della ex compagnia di bandiera è stato rimesso al risultato di un referendum, nato dall'accordo tra management, governo e sindacati maggiori e sottoposto al voto degli 11.602 lavoratori della compagnia.

Referendum dal vago retrogusto di ricatto, in quanto i dipendenti Alitalia erano chiamati a scegliere tra un "piano di risanamento" il cui costo sarebbe andato a cadere tutto sulle loro spalle a colpi di licenziamenti e tagli di stipendi, e l'alternativa ancora peggiore del fallimento e della svendita a tranci della società.

Una scelta tra la padella e la brace, insomma. Puro stile Mirafiori, verrebbe da dire. A far sentire bene il freddo della canna di pistola sulle tempie dei lavoratori ci aveva pensato il governo stesso, precisando più e più volte che se questi avessero rifiutato l'ennesimo colpo di scure sui propri stipendi, non avrebbe mosso un dito in loro soccorso.

Ma, nonostante tutto, i dipendenti Alitalia hanno dimostrato coraggio e dignità bocciando la proposta/ricatto a larghissima maggioranza.

Ed a ragione, visto che nella crisi della compagnia aerea, come documentato puntualmente dal prof. Gaetano Intrieri in questo articolo per Avionews, IL COSTO DEI DIPENDENTI NON E' IL PROBLEMA. Le difficoltà di Alitalia sono imputabili a scelte manageriali scriteriate, con costi di manutenzione, noleggio di beni terzi, handling e assistenza passeggeri decisamente superiori alla media internazionale. Non c'entra niente la corruzione, non c'entra niente il nepotismo, non c'entra niente lo Stato sprecone, non c'entrano niente tutte le cazzate qualunquiste usate come cavallo di Troia per distruggere la nostra industria nazionale e (s)venderne i pezzi più ghiotti all'estero a colpi di ultraliberismo.

Ora si apre la strada del commissariamento, poi quella assai probabile del fallimento, con relativa cannibalizzazione degli asset più remunerativi da parte delle compagnie aeree estere. Un'ipotesi che qualsiasi governo con un po' di spina dorsale eviterebbe senza neppure discutere, perché è assurdo lasciar morire una compagnia aerea che dispone ancora di potenzialità importanti, oltre che di un know how di tutto rispetto, per l'incapacità del suo gruppo dirigente. In ballo non c'è solo il futuro degli 11.000 lavoratori, ma un pezzo importante della nostra strategia dei trasporti, che rischia di essere sottratto al controllo nazionale ed affidato a prezzi di saldo nelle mani dei nostri concorrenti.

L'Italia è la quinta nazione in Europa per traffico aereo con 164 milioni di passeggeri nel 2016, la nostra naturale vocazione turistica attira ogni anno circa 50 milioni di visitatori - la stragrande maggioranza attraverso gli aeroporti: vogliamo essere noi a regolare questo immenso flusso di persone, indirizzandolo sugli scali più utili alle esigenze delle nostre aziende e della nostra economia, o vogliamo che a decidere per noi siano i nostri diretti concorrenti in base alle loro necessità?

Vogliamo un portiere della nostra squadra a difendere la nostra porta, o ci sentiamo più sicuri con il portiere della squadra avversaria tra i pali?

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