giovedì 3 agosto 2017

Fincantieri - STX, ovvero quel gusto tutto italiano di prendere sberle




Si fa un gran parlare in questi giorni della vicenda Fincantieri / STX, ultima puntata dell’eterno rapporto amore-odio tra noi e la Francia. Anche questa volta, come già in passato, il tentativo di un’azienda italiana di espandersi oltralpe viene bloccato da un muro di protezionismo alzato dallo stesso Stato francese, alla faccia degli accordi già presi e del presunto "primato del libero mercato". C’è voluta più di qualche musata, ma sembra che finalmente anche i nostri governanti stiano iniziando ad ammettere che quella francese è una vera strategia mirata al controllo di alcuni gangli fondamentali della nostra economia, bloccando qualsiasi significativa azione inversa.

Da vera potenza coloniale, la Francia non esita a prendersi tutto lo spazio che ritiene necessario (vedi il caso Libia) a danno dei nostri interessi, ma rigetta con malcelato sdegno ogni nostra ambizione sui propri asset.

Naturale: non si è mai vista una colonia che reclami il controllo dei beni del suo colonizzatore.

Ma non è solo nei confronti della Francia che il nostro paese subisce umiliazioni: questo editoriale di De Bortoli richiama, per i motivi sbagliati, diversi esempi giusti di una triste tradizione che ci vede chinare il capo con straordinaria frequenza quando i nostri interessi si scontrano con quelli altrui. Su questo blog la cosa era già stata affrontata qui e qui. E lo stesso copione si ripete anche in ambito diplomatico: le contorte, esasperanti vicende dei marò e di Regeni sono piene di bocconi amari che il Belpaese ha dovuto inghiottire.

L'affaire Fincantieri però sembra segnare un cambiamento, dovuto forse al periodo pre-elettorale che fa gonfiare anche i petti più concavi: d'improvviso si è tornati a parlare di interesse nazionale. Anche coloro che fino a poche ore fa rabbrividivano al solo sentire la parola Nazione, ora sussurrano questa formuletta a mezza bocca, quasi fosse un'amara medicina da mandar giù a forza, in vista delle prossime votazioni. Too little, too late, amici miei; la dignità della Nazione non è un bottone da attivare a piacere, ma qualcosa che va costruito, sostenuto e difeso con costanza.

Dopo l'inglorioso tramonto della Prima Repubblica, nata zoppa dalla sconfitta della seconda guerra mondiale ma comunque in grado di giocare un ruolo almeno nei quadranti di immediato interesse strategico, è salita al potere una classe dirigente totalmente impreparata (nella migliore delle ipotesi) e intrisa di concetti utopistici e fantasie internazionaliste. Si è creduto che fosse possibile consegnare le Nazioni alla pattumiera della Storia per inseguire improbabili sogni di unione continentale, senza accorgersi che mentre noi - e solo noi - interpretavamo il progetto di Unione come genuinamente paritario gli altri, ciascuno secondo le proprie capacità, lo interpretavano come mezzo per consolidare i propri interessi particolari.

Per la Germania si è trattato di accelerare la propria vocazione mercantilista sfruttando una moneta strutturalmente più debole del marco per aumentare la competitività sui mercati internazionali, mettendo nello stesso tempo solide briglie al principale rivale europeo (noi), per la Francia di un tentativo - fallito - di tenere a freno la Germania, per i paesi dell'Est di un mezzo per garantirsi protezione e indipendenza dal temuto vicino russo.

Per noi? Il nulla. Tra cattivi consiglieri, interessi personali, rigurgiti ideologici, la nostra classe dirigente si è seduta al tavolo europeo senza la più pallida idea di cosa fare, senza uno straccio non tanto di strategia, ma neppure di tattica di breve periodo. Afflitta da un mastodontico complesso d'inferiorità, ha accettato senza fiatare le richieste più inique pur di dimostrare ai vicini, che tutt'ora percepisce come ontologicamente superiori, di aver espiato fantomatiche colpe.

Ora che alcuni nodi stanno iniziando a venire al pettine, ora che l'atteggiamento prepotente o anche solo schiettamente egoistico delle altre nazioni ha iniziato a danneggiare in modo grave e innegabile il nostro benessere e la nostra sicurezza, non può essere la stessa classe dirigente che ha rifiutato ostinatamente di proteggerci ad ergersi a difensore della Patria.

A maggior ragione se questa insolita presa di posizione arriva a una manciata di mesi da una scadenza elettorale che potrebbe segnare una dura batosta per l'attuale maggioranza.

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