lunedì 12 marzo 2018

Elezioni 2018: la buriana populista


Questo blog è poco più di un diario personale, non pretende di spiegare, tantomeno insegnare niente a nessuno, ma a volte riesce ad intuire in anticipo la direzione degli eventi nonostante voci molto più forti ed autorevoli indichino altre strade. Il caso delle elezioni del 4 marzo è uno di questi.

Come scrivevo in questo post di gennaio: "Il 2017 è stato - a torto - raccontato come l'anno della ritirata delle forze sovraniste, mentre iniziava un bombardamento mediatico volto ad instillare il frame della ripresa economica e dell'uscita dalla crisi. La realtà percepibile spostando anche di poco il velo di Maya è tutt'altra [...]".

Le mie sensazioni erano corrette ed il voto l'ha confermato: la netta maggioranza degli italiani non ha abboccato al frame della ripresa rimbalzato ossessivamente dai media, ha respinto il governo "istituzionale", se ne è sbattuta dell'esecutivo "credibile" ed ha gonfiato a dismisura le vele delle forze che più venivano dipinte come irresponsabili, dilettantesche, sgangherate, pericolose o peggio.

Il 4 marzo ha vinto il sentimento populista, continuando il cammino iniziato in tutto il cosiddetto Occidente a partire dall'Oxi greco del 2015 (vergognosamente tradito dal protorenzi Tsipras), passato per il Leave britannico, l'elezione di Donald Trump ed il No al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, con battute d'arresto solo apparenti in Olanda e Francia lo scorso anno.

Mentre veniva battuta dal gelo artico, l'Italia montava nelle urne la buriana furiosa che ha spazzato via qualunque forza politica esplicitamente vicina alle ricette dell'establishment praticate a partire dalla crisi del 2008 e pagate dai ceti medio-bassi con lacrime e sangue.

I due vincitori indiscussi del 4 marzo sono M5S e Lega. I loro elettori hanno votato con lo stesso obiettivo (archiviare il governo dei "credibili" ed esprimere il proprio forte malessere) ma le due forze - entrambe ascrivibili al fenomeno populista - sono decisamente diverse: il voto a Salvini esprime una chiara volontà sovranista, che individua le cause del declino italiano nella progressiva perdita dell'indipendenza nazionale e nell'adesione incondizionata all'ideologia globalista, il voto a Di Maio è ancora legato al frame più genericamente populista della "corruzione dilagante" innata in gran parte degli italiani e la cui vittima sarebbe una mitologica popolazione di "onesti".

La posizione sovranista è per definizione incompatibile con l'ideologia liberista globalizzata, quella grillina invece può rapidamente diventare funzionale al sistema di potere che ho definito Ancien Régime 2.0, dato che ne condivide alcune pratiche fondamentali (tagli alla spesa pubblica, stretta fiscale sui ceti produttivi, critica alla democrazia rappresentativa). Non a caso gli slogan dei 5 Stelle ricalcano quasi alla lettera quelli del Pci di fine anni 70, quando alla lotta di classe in nome del proletariato si sostituì lentamente la generica lotta contro corruzione e sprechi incarnata nella berlingueriana "questione morale" (qui un brillante articolo a riguardo).

Già subito dopo le elezioni uno specialista di allineamento al Potere (quello vero) come Scalfari ha indicato nel movimento di Di Maio il "grande partito della sinistra moderna" destinato a proseguire, assorbendolo, l'opera del Pd:


Per il Movimento 5 Stelle, abilissimo fin qui ad intercettare il malcontento più generico sia a destra che a sinistra, sembra giunto il momento di scoprire le carte: i segnali che le élite stanno inviando sono quantomeno di non ostilità verso un governo Di Maio con appoggio o astensione di parte del Pd. Dovesse nascere, un governo del genere finirebbe per il collocarsi rapidamente nello stesso solco dei precedenti. Dopo qualche concessione minore alle istanze anti-sistema dei 5 Stelle, come ad esempio qualche taglio ai costi della politica e un "Reddito di Cittadinanza" tremendamente simile al restyling del REI piddino, si punterebbe sempre di più sui punti del programma 5 Stelle compatibili con il regime liberista: revisione dei costi, tagli alla spesa, stretta sul denaro contante, sostanziale subalternità all'asse Merkel - Macron. Poco importa che il rapporto di forza sarebbe a favore dei grillini: una volta avviato un governo le minoranze che lo compongono (o che non gli sono ostili) pesano più del blocco maggioritario, avendo meno da perdere dalla caduta dello stesso.

Il panorama dei prossimi mesi è ancora difficilmente decifrabile ma al momento, vista la resilienza di cui è capace il sistema, lo scenario più probabile prevede una ennesima scissione del Pd sulla base della fedeltà a Renzi e la disponibilità della parte non-renziana, magari ricomposta con gli esuli di LeU, a far nascere un governo 5 Stelle, meglio se punteggiato da figure "tecniche" o "istituzionali" rassicuranti per i "mercati".

Consapevolmente o meno, il nuovo governo finirebbe per completare l'opera, che avevo descritto in questo post, già avviata dal Conte-premier Gentiloni: rendere irreversibile la cessione della Sovranità nazionale indebolendo il sistema-paese in modo critico. Se i precedenti esecutivi marciavano volontariamente verso l'obiettivo, questo ci verrebbe portato lentamente, di obbligo in obbligo, a cominciare dalla manovra aggiuntiva di maggio (perché la flessibilità avrà improvvisamente fine), per passare poi alle clausole di salvaguardia tra pochi mesi fino alle trattative sull'Unione bancaria.

Privo di una chiara strategia di distacco dal potere di Bruxelles / Francoforte, anche il più euroscettico dei governi dovrebbe capitolare ad ogni diktat ricevuto, pena l'inizio del "trattamento greco".

A quel punto il consenso raccolto dai 5 Stelle subirebbe un veloce "effetto Tsipras" ed all'inevitabile caduta dell'esecutivo la buriana popolare tornerebbe a soffiare ancora più forte.

Solo sulle vele sovraniste, stavolta.

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