giovedì 2 ottobre 2014

Nazioni Sovrane e nazioni vassalle



È notizia di ieri la decisione unilaterale del governo francese di rinviare al 2017 il rientro del rapporto deficit / PIL entro il famigerato 3%. La Francia si era impegnata a raggiungere il parametro fissato dall'Unione Europea già quest'anno, ma in seguito è stato necessario prendere "la decisione di adattare il passo di riduzione del deficit alla situazione economica del paese. La nostra politica economica non sta cambiando, ma il deficit sarà ridotto più lentamente del previsto a causa delle circostanze economiche" (parole del Ministro delle Finanze transalpino, Michel Sapin).



Ovviamente alla notizia hanno fatto seguito le proteste, più o meno vivaci, dei mastini dell'austerità UE, Angela Merkel in testa, che hanno subito precisato che "I Paesi devono fare i loro compiti per il loro benessere", ed oggi è lo stesso futuro commissario Moscovici, ex ministro delle Finanze francese, a promettere ritorsioni se non verranno applicate le direttive comunitarie.

La posizione del governo italiano a riguardo è stata, al solito, cerchiobottista: da un lato ci si precipita a rassicurare che il nostro paese rispetterà il limite del 3%, dall'altro ci si schiera a parole al fianco della Francia per la sua decisione.

Al di là del merito della scelta francese, che nel contesto di permanenza della moneta unica porterà probabilmente più problemi di quanti sarà in grado di risolvere, è interessante vedere la differenza di atteggiamento dei due paesi nei confronti dell'Unione Europea.

La Francia interpreta la sua partecipazione all'Ue da nazione sovrana, e si riserva di conseguenza la possibilità di disattendere le normative comunitarie per interessi interni (come salvare quel poco che resta della popolarità del PS). Successe già in passato, è successo ieri. Questa autonomia decisionale è leggermente più marcata con governi di centrodestra, più moderata con governi di centrosinistra, ma è una costante tanto chiara quanto è semplice la dichiarazione rilasciata da Michel Sapin.

L'Italia continua ad interpretare il suo ruolo nell'Ue da nazione vassalla, le sue massime autorità sono ligie al compito di esecutrici di direttive allogene a costo di sacrificare l'interesse del popolo che dovrebbero rappresentare. È come se, nonostante gli anni, i nostri dirigenti continuassero a percepirsi come viceré interessati principalmente ad ottenere il plauso del sovrano di turno, che si tratti del Re di Francia, del Borbone o del Commissario Ue. Il "ce lo chiede l'Europa" è diventato motto proverbiale per esprimere l'impotenza di una classe dirigente incapace di progettare in autonomia soluzioni e strategie per il benessere del proprio popolo. Il massimo della protesta concepibile da questa gente è vanverare di pugni da sbattere su tavoli inesistenti, o esprimere vaghe simpatie per le decisioni sovrane altrui, guardandosi però bene dall'imitarle.

La speranza per gli italiani, purtroppo, pare trovarsi ancora oltreconfine: il totem dell'austerità cieca e sorda sta crollando, lo seguirà quello dell'euro?

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