venerdì 4 settembre 2015

L'Archeologo e l'ipocrita


Khaled al-Asaad era un archeologo. Ma prima ancora era un uomo che aveva dedicato l'intera vita allo studio ed alla valorizzazione della propria terra natale, la città di Palmira in Siria, curandone con passione le straordinarie bellezze archeologiche. In cinque decadi di lavoro aveva effettuato numerosi ritrovamenti di grande importanza, contribuendo in modo significativo alla popolarità internazionale dell'area ed alla sua promozione a Patrimonio dell'Umanità in seno all'UNESCO.

Aveva quasi 83 anni il dott. al-Asaad, ma continuava nel suo lavoro nonostante l'età, nonostante una guerra da cui non era fuggito sebbene la sua posizione di archeologo e iscritto al partito Ba'ath (il partito del presidente Assad) lo rendesse inviso sia ai ribelli antigovernativi sia ai tagliagole dell'ISIS. Già una volta, catturata la città, gli uomini del califfato l'avevano "arrestato". La seconda gli è stata fatale.

Khaled al-Asaad è stato torturato, decapitato ed il suo cadavere è stato esposto al pubblico, appeso per i piedi ad un semaforo, con un cartello che lo accusava di parteggiare per il governo di Assad, oltre che di "idolatria" e "apostasia". Nei giorni successivi, l'ISIS ha iniziato l'opera di distruzione di alcuni degli antichi templi di Palmira, radendo al suolo quello di Baal Shamin e, dopo un tentativo fallito, quello di Bel.

Il tempio di Bel (risalente al 32 d.C.) prima e dopo il passaggio dei tagliagole

La notizia dell'assassinio del dott. al-Asaad e della demolizione delle opere che per tutta la vita aveva difeso è stata diffusa nel cosiddetto "Occidente" seguendo l'andamento tipico di questa epoca di saturazione da informazioni: una prima fase di grande evidenza su tutti i media, cui è seguito immediatamente uno sdegno tanto generalizzato quanto formale, che si è tradotto in una serie di "iniziative di protesta" completamente sterili (in Italia la palla al balzo è stata colta dal presidente dell'Anci Fassino che ha proposto - nientemeno - l'esposizione di bandiere a lutto nei musei e nelle sedi culturali) per poi dimenticare rapidamente il tutto, già pronti ad indignarsi per una notizia più fresca.

La vita del dott. al-Asaad, quella dell'altro archeologo ucciso il 12 di agosto, il 37enne Qassim Abdullah Yehya, quella di tutti i siriani morti in patria dall'inizio della criminale guerra civile in gran parte fomentata e finanziata dallo stesso Occidente, non possono essere liquidate allo stesso modo in cui si commemora la morte del massaggiatore di una qualsiasi squadra di calcio.

Non riesco ad immaginare niente di più ipocrita e vile.
Anzi si.

Di più ipocrita e vile c'è questo lembo di mondo impazzito chiamato Occidente, che continua senza sosta a raccontare solo ed esclusivamente il dramma di chi fugge, fottendosene della sorte di chi dalla guerra, dalla sua terra, non vuole o non può andarsene. In questi giorni ovunque ci si giri si è investiti da un fiume di appelli all'accoglienza, allo spirito umanitario nei confronti dei "migranti", di chi affronta il "dramma del mare" per cercare il benessere. Ma l'accoglienza durante una crisi è solo metà del lavoro che dovrebbe compiere una società che si dice civile: l'altra metà è tentare di risolvere la crisi che genera l'esodo. 
Ed in questo senso non è stato compiuto neppure il più piccolo dei passi.

Mentre l'Europa si commuove, si indigna, piange e manifesta sui social network infinito dolore per la sorte della minoranza che ha deciso di abbandonare la propria terra natale in cerca di fortuna, la maggioranza che ancora vive quotidianamente tra bombe, attentati, sgozzamenti, stupri ed ogni altro genere di violenza è inghiottita nel cupo pozzo del disinteresse. Pur disponendo di risorse di ogni tipo per imporre la pace (o almeno ridurre l'intensità delle violenze) se non altro negli scenari più caldi, l'Occidente e l'Europa in particolare si preoccupano solo di quanto aprire le porte a chi scappa, generando inevitabili tensioni al proprio interno che si faranno sempre più tragiche quanto più forte sarà la pressione sui popoli "ospitanti".

A chi importa di chi ancora lotta perchè la sua casa, il suo quartiere, la sua chiesa o moschea non vengano spazzate via da un colpo di mortaio o da un'autobomba? Di chi è troppo anziano o malato per compiere il famoso "viaggio della speranza"? O di chi come Khaled al-Asaad sacrifica tutto per proteggere beni che sono suoi perchè parte della sua identità ma che ha custodito ed offerto a beneficio di tutta l'umanità?  

Eppure aiutando e proteggendo chi ha scelto di rimanere si potrebbe ridare pace e dignità ai popoli precipitati nel caos, e questo oltre a rallentare significativamente le emigrazioni sarebbe un gesto di altruismo mille volte più efficace della sola accoglienza.

Peccato che tutti gli indizi vadano in un'altra direzione: il caos in Africa e Medio Oriente non verrà fermato perché è stato creato ad arte sovvertendo i governi più stabili e laici di quelle regioni; il terrorismo non sarà realmente combattuto perchè è un ottimo babau per addomesticare le opinioni pubbliche occidentali; la tratta dei nuovi schiavi tra le sponde del Mediterraneo continuerà con il suo carico di morti da sbattere in prima pagina perché non si può fermare un business tanto grande e redditizio.

Non potendo chiedere altro, non resta che pregare che almeno ci venga risparmiata l'ignobile, ipocrita pantomima dei minuti di silenzio e delle bandiere a mezz'asta. Il dott. Khaled al-Asaad e le altre vittime della strage in atto alle porte d'Europa meritano almeno questo.

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