lunedì 11 gennaio 2016

Quando un rantolo dal mondo del lavoro è abbastanza per festeggiare.



Partiamo dal tweet del caro leader, qui sopra.

Il 7 gennaio, con la tipica prudenza che lo contraddistingue, proclama il grande successo del suo Jobs Act, dimostrato dal calo della disoccupazione e prodromo alla ripartenza dell'Italia.
Il riferimento è, anche se non viene citato, all'ultimo rilevamento Istat, secondo cui il tasso di disoccupazione sarebbe sceso a novembre 2015 dello 0,2% arrivando all'11,3%.

Una buona notizia? Dipende dai punti di vista.
In termini assoluti, la disoccupazione a novembre ha raggiunto il minimo dal 2012, con quella giovanile in calo dell'1,2% rispetto ad ottobre. La parola chiave è "novembre". Ha senso dare tanta enfasi ad un rilevamento mensile, considerando che la materia dell'occupazione è influenzata da una enorme quantità di fattori, che spesso mostrano i loro effetti solo dopo periodi medio-lunghi? Cosa succede ampliando un po' i dati in esame, e guardando i risultati su base annua? Se la disoccupazione mantiene il suo trend (-14,3%, 479.000 persone in cerca di lavoro in meno), e l'occupazione fa segnare una crescita (+206.000 occupati), risalta il dato degli inattivi, ovvero di quelle persone che il lavoro nemmeno lo cercano più. Questi sono aumentati dell'1% (+138.000 rispetto a novembre 2014).
Ahia.

Non credo sia un buon segno quando un certo numero di persone smette di cercare lavoro non perché lo trova, ma perché perde ogni speranza. Purtroppo però, una parte del calo della disoccupazione tanto strombazzata dal governo è dovuta proprio a questo: l'aumento della disperazione. 
La stessa disperazione che porta sempre più italiani, soprattutto tra i 25 e i 40 anni, ad emigrare in cerca di fortuna, rinverdendo una triste tradizione che si sperava sconfitta. I dati dicono che tra il 2014 ed il 2015 sono emigrati più di 101.000 nostri compatrioti (+3,3% rispetto all'anno precedente, +49,3% rispetto al 2005). E fatico a credere che la fuga di italiani all'estero non abbia un peso nel calo della disoccupazione. 

Tanto più se si guarda ai dati sull'occupazione relativi alla fascia di età 25-34 anni, quella più importante perché riguarda l'immissione nel mercato del lavoro di forze fresche, teoricamente più adatte per formazione e attitudine a contribuire alla tanto agognata innovazione e in teoria più utili ad aumentare i consumi, visto che si tratta di giovani che devono ancora formare una famiglia, acquistare una casa, la prima auto etc. I dati parlano di una disoccupazione in aumento (+0,1%) come l'inattività (+0,9%), mentre l'occupazione scende dello 0,8%. Tutto il contrario di quanto auspicabile.

Quindi, ricapitolando, nell'"Italia che riparte" c'è una parte crescente di popolazione che ha smesso anche solo di cercare un impiego, mentre la generazione che già l'ex-Viceré Mario Monti definì perduta è costretta a vivacchiare di lavoretti precari e prestiti familiari, oppure può fare le valigie e fuggire altrove.
Magari cantando sulla falsariga dei propri nonni: "Ripartono i bastimenti..."

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