mercoledì 9 marzo 2016

Brexit: chi ha paura della Libertà?


Come noto, il 23 giugno prossimo il Regno Unito deciderà, tramite referendum, se rimanere o no all'interno dell'Unione Europea. E' il famoso Brexit che tanto agita i sonni di molti, dentro e fuori dal perimetro dell'Unione. La portata del risultato referendario infatti andrà sicuramente molto al di là dei confini britannici, e potrebbe rappresentare l'ennesima picconata alla sempre più instabile costruzione unionista.

Al contrario di un altro referendum, quello greco dello scorso anno, stavolta è chiamato a votare un popolo toccato ma non piegato dalla crisi del 2008, che vive in una nazione dalle grandi risorse industriali e, soprattutto, libera dal giogo della moneta unica. Quindi meno soggetta ai ricatti economici e finanziari tanto utili a mantenere in riga gli Stati più svantaggiati dall'appartenenza alla Ue, già da tempo "simpaticamente" definiti Piigs (porci), tanto per rimarcare il ruolo assegnato loro nella nuova casa comune.

Dei due schieramenti che si stanno delineando, quello dei no-brexit è estremamente significativo della natura delle forze in campo: a tuonare contro l'uscita è principalmente il mondo della finanza, dal colosso delle società di investimento BlackRock fino alle sempre presenti Goldman Sachs e Morgan Stanley, passando per una pletora di multinazionali di vari settori fino al Governatore della Banca d'Inghilterra Carney (che si nasconde dietro l'ipocrita paravento del "parere tecnico") solo per citare alcuni esempi. Il tono è quasi sempre apocalittico, con scenari di devastazione, crolli della moneta e del Pil, decenni di crescita azzerati, locuste e stragi di primogeniti. Ma non è chiaro se questo pessimismo riguardi le sorti del popolo inglese o piuttosto gli interessi di queste stesse società.

Il mondo della finanza sembra non tollerare due cose sopra tutto: le svalutazioni monetarie e i confini nazionali. Il cieco sostegno al progetto della Ue, nonostante gli evidenti danni che sta apportando a gran parte delle popolazioni che ne fanno parte, è dovuto proprio al fatto che la Ue attraverso l'euro garantisce stabilità nei cambi e concorrenza selvaggia in una delle zone più ricche del mondo. La possibilità di vendere liberamente merci e servizi in un'area tanto vasta speculando sul diverso costo del lavoro e sulla diversa tassazione vigente a parità di cambio è troppo ghiotta per vederla svanire o anche solo traballare come accadrebbe in caso di uscita del Regno Unito, che del progetto fa parte solo parzialmente, non avendo mai adottato l'euro.

Da qui nasce la campagna di terrore ribattezzata Project Fear, un poderoso sforzo volto a condizionare l'opinione pubblica attraverso la paura (e poi sarebbero i populisti a parlare alla pancia delle persone!). Paura di perdere il lavoro, di non poter più visitare il resto d'Europa, di essere invasi da orde di immigrati, di essere più esposti al terrorismo.

Ogni leva viene mossa in modo spregiudicato: se gli inglesi non vogliono rimanere nell'Unione per amore, dovranno desiderare di rimanere per il terrore dell'alternativa.

Niente male per un progetto che qualcuno ha ancora il coraggio di definire "sogno europeo".

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