venerdì 2 giugno 2017

La festa è finita


Un involucro svuotato.

E' stata questa la sensazione prevalente nell'assistere oggi alla cerimonia per la Festa della Repubblica. Una festa mai particolarmente amata dalla nostra classe dirigente, tanto che per 24 anni si svolse alla chetichella ogni prima domenica di giugno, senza un vero giorno festivo, per non disturbare troppo.

Quando venne ripristinata nella sua forma completa, fu per mano di uno degli artefici della desovranizzazione, quel Ciampi che guidò il riaggancio della lira al sistema Sme e rese possibile l'ingresso nella trappola dell'euro, di cui stiamo ancora pagando le conseguenze.

Un inusuale attaccamento al più tradizionale immaginario patriottico, quello di Ciampi, quasi un'inconscia compensazione per l'incessante, sotterraneo lavoro di smantellamento dei gangli vitali dell'indipendenza nazionale, a cominciare da quello monetario.

Da allora la festa del 2 giugno ha mantenuto la forma: la parata su via dei Fori Imperiali, l'immenso tricolore a decorare il Colosseo, la partecipazione popolare, ma ha perso via via la sostanza di momento di autocoscienza della Nazione e occasione per riconoscerci come popolo in un comune e specifico percorso storico che ci lega a tutte le generazioni passate e a quelle future. Nella nostra festa nazionale oggi non c'è più la Nazione e non potrebbe che essere così, visto che tutte le principali figure istituzionali attualmente in carica sostengono fermamente la diluizione della nostra specificità all'interno di entità più vaste e dai discutibili connotati democratici.

Sia la festa della Repubblica che la Repubblica stessa sono - ormai da tempo - ostaggio di chi le cancellerebbe volentieri.

E' così per il Presidente della Repubblica, ansioso di "completare la costruzione europea", è così per il Presidente del Consiglio, che sogna "gli Stati Uniti d'Europa". Per non parlare dei Presidenti di Camera e Senato, l'una tanto attaccata all'indipendenza nazionale da aver letteralmente lucchettato l'Italia al ceppo dell'Unione per poi buttare le chiavi in un fiume, l'altro instancabile sostenitore della causa unionista al punto da attribuirle successi e meriti inesistenti.

Non è dunque una sorpresa se proprio oggi giunge, per bocca di un Ministro della Repubblica, l'appello a compiere l'ennesimo passo verso la negazione del patto fondativo della nostra comunità nazionale: il passaggio dallo ius sanguinis allo ius soli, la riduzione della nazionalità a semplice atto burocratico, il valore della cittadinanza, con il peso di doveri e responsabilità che comporta, ridotto a una notarella qualsiasi sulla carta d'identità.

La macchina mondialista funziona a pieno regime, ed i terminali italiani hanno tutta l'intenzione di accelerare il più possibile per portare la nazione oltre la soglia di non ritorno prima che la maggioranza dei cittadini si renda conto del danno subito.
La Repubblica non è mai stata così in pericolo dalla sua nascita come in questi anni.

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