lunedì 29 giugno 2015

Grecia, ultimo atto?



E così siamo arrivati al referendum.

Dopo la rottura delle trattative tra Grecia e Troika (ma non chiamatela così, per carità) per l'improvviso irrigidimento del Fondo Monetario Internazionale, Tsipras ha giocato la carta della consultazione popolare per decidere se accettare o meno il piano stabilito dai creditori.

Non si tratta di una mossa inedita: nel 2011, con una Grecia già al collasso ma in una situazione complessiva migliore della attuale, l'allora primo ministro Papandreou tentò di chiamare la popolazione al voto per decidere se rimanere o meno nell'euro. Il referendum fu poi annullato a causa delle fortissime pressioni della comunità internazionale, Papandreou dovette dimettersi e ne seguirono tre governi allineati al volere della Troika, che diedero il via alle onnipresenti riforme strutturali per risanare il bilancio, con l'unico risultato di precipitare le condizioni di vita della popolazione ad una situazione da terzo mondo, senza peraltro migliorare significativamente la condizione economica nazionale.

Stavolta il referendum si farà, ed anche se non viene esplicitamente messa in discussione la permanenza nell'eurozona, appare molto difficile che Atene possa rimanere nella moneta unica in caso di bocciatura delle proposte della Troika. Nel frattempo si è scatenato il caos nella popolazione, con relativa corsa ai bancomat per prelevare quanto più contante possibile, sostanziale blocco delle entrate fiscali e via dicendo.

In Italia, tra i più entusiasti per la decisione del governo greco c'è Grillo, che ha lodato pubblicamente Tsipras e si è detto convinto che la scelta referendaria sia la soluzione migliore per la Grecia.

Io non ne sarei così sicuro.

Intanto non capisco perché un governo eletto democraticamente da appena 6 mesi abbia bisogno di una ulteriore legittimazione. Affidarsi al volere popolare avrebbe avuto un senso in Italia, che di fatto è governata (ormai già dal 2011) da premier privi di esplicito mandato elettorale, ma non ne ha alcuno in Grecia. "Potere al popolo" è uno slogan affascinante, ma piuttosto surreale quando il popolo quel potere l'ha già esercitato una manciata di settimane fa, premiando Syriza proprio per il suo impegno a chiudere con l'austerità ed i diktat di Bruxelles.

Poi c'è da valutare il livello di consapevolezza dei greci sulla questione. Stando al World Press Freedom Index 2015, la Grecia si posiziona al 91° posto su 180 per quanto concerne la libertà di stampa, penultimo paese tra quelli dell'Unione Europea e quasi 20 posizioni sotto l'Italia. Nel commento si sottolinea come "the economic crisis has had a grave impact on pluralism in both state and privately-owned media" (la crisi economica ha avuto un grave impatto sul pluralismo sia nei media pubblici che in quelli privati). Siamo sicuri che una popolazione sottoposta ad un bombardamento informativo orientato a descrivere l'uscita dall'euro come una catastrofe irrimediabile possa esprimersi serenamente?

L'ultimo dubbio riguarda l'opportunità di ricorrere a referendum su temi così complessi. Anche ammesso che sia giusto per un governo appena eletto cercare nuova legittimazione popolare, e che il popolo in questione goda di un'informazione totalmente libera e plurale, quanta parte di questo popolo è effettivamente in grado di farsi un'opinione approfondita su un quesito così tecnico? E' verosimile che avvocati, artigiani, ingegneri, disoccupati, in una parola l'intero corpo elettorale esclusi gli economisti, riescano a comprendere il senso profondo del referendum, le varie implicazioni tecniche che comporta... in 7 giorni?

La democrazia rappresentativa non nasce forse perché gli elettori diano un indirizzo politico generale, che deve essere applicato nel concreto da persone preparate per questo? Che senso ha eleggere premier, ministri, sottosegretari, commissioni di ogni genere e tipo che a loro volta interrogano esperti, tecnici, teorici etc etc... se poi davanti alla scelta più difficile nella storia di un popolo nessuno di costoro si assume le proprie responsabilità?

Vista da qui, più che un coraggioso atto democratico la scelta di Tsipras sembra un pavido tentativo di scaricare le responsabilità di una scelta difficile su tutti i cittadini, mettendo se stesso ed il governo al riparo sia in caso di successo ("non sono io che ho voluto la rottura, è il popolo") che di fallimento del referendum ("cari greci, ecco una nuova dose di bastone. Ma tanto l'avete voluto voi...").

In ogni caso la scelta del governo greco, per quanto discutibile, è comunque un passo avanti rispetto al lento logoramento cui la Grecia è sottoposta da anni. La speranza è che i greci partecipino al referendum e dichiarino chiaro e secco il loro NO ad un sistema di gestione del potere antidemocratico, antinazionale e antipopolare.

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