venerdì 5 giugno 2015

JobsActnotti


Lo ammetto: a me in fondo Jovanotti sta pure simpatico.

Sarà che, per pura coincidenza temporale, le sue canzoni hanno involontariamente segnato un pezzetto della mia infanzia (le feste di compleanno in casa di amici con l'immancabile cassetta di "La mia moto") e adolescenza (gli anni del liceo, le ragazze e l'immancabile "Bella" a fine serata).

Gli riconosco anche l'apprezzabile capacità di adattarsi ai tempi, soprattutto con la clamorosa evoluzione tra la fine degli anni 80 e l'inizio dei 90, quando improvvisamente si trasformò da ragazzotto rumoroso e festaiolo a fine pensatore e critico sociale, riuscendo a scivolare senza grossi attriti da una fetta di mercato all'altra e conquistandosi anzi repentine lodi e attestati di stima da parte della solita intellighènzia che-tutto-giudica.

Niente di personale, quindi, nel dire che con questa uscita ha detto una mastodontica cazzata.

E hanno poco da lavorare di penna i vari soccorritori di turno che si sono precipitati a correggere, inquadrare, contestualizzare le parole del Sig. Cherubini. 
Una cazzata è una cazzata. Punto.

E il lavoro è tale solo quando è retribuito. Senza paga si chiama volontariato o sfruttamento, e spesso il confine tra i due mondi è sottilissimo. Un conto è fare il cameriere alla Sagra della ranocchia, luogo e contesto che suggeriscono e legittimano la presenza di volontariato, un altro fare il fonico - addetto alle luci - qualsiasi altra mansione ad un festival musicale. Quello è lavoro e va pagato, come vengono pagati gli artisti che si esibiscono sul palco.

Tutto il resto, l'arricchimento spirituale, la responsabilizzazione, l'esperienza, non ha niente a che vedere con il venire o meno retribuiti. Un giovane che affronta il primo incarico lavorativo percependo uno stipendio fa la stessa esperienza, mostra la stessa passione, ha la stessa maturazione di uno che lavora "gratis". Anzi di più, perché comprende come il suo impegno abbia ripercussioni concrete sulla sua vita, e impara che il suo tempo e la sua abilità - o la sua volontà di maturare abilità - hanno un valore materiale oltre ad averne uno spirituale.

Ma viviamo nel tempo dell'Ancien Régime 2.0 e la nuova aristocrazia nei suoi castelli di vetro e cemento armato è impegnata con tutte le sue forze ad eradicare con ogni mezzo dalle coscienze stesse del popolo la coscienza di sé, dei propri diritti e della propria forza: non può stupire che un simpatico artista ultraquarantenne che non ha mai vissuto il dramma del precariato o di una vita da affrontare in bilico sulla corda di uno stipendio che diventa sempre più sottile faccia un po' di confusione tra i volontari di una sagra di paese e lo sfruttamento di manodopera gratuita nell'organizzazione di eventi.

Diciamo che la boutade del Jova, senz'altro "Voce dal sen fuggita", è la faccia sorridente della "durezza del vivere" tanto agognata in passato da qualcuno (solo per gli altri, però); una vaga eco remixata di vitalismo ed energia dell'originale urlo di guerra di chi vuole cancellare dalla storia il sistema sociale sviluppatosi in Europa tra XIX e XX secolo ed il relativo benessere diffuso.

Tra un Jobs Act che mette i lavoratori sotto la costante minaccia di licenziamento, una riforma delle pensioni che di fatto ha cancellato questo istituto dal futuro di intere generazioni (a partire dalla mia), un lavoro ai fianchi della scuola per renderla sempre meno luogo di vita e cultura e sempre più officina per la produzione di manodopera acritica, cosa volete che sia l'invito a lavorare senza retribuzione? Il futuro è di chi meglio compiace il mercato, ed il mercato del lavoro premia chi costa di meno. Meglio fare allenamento da subito.


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